Vigilia di Silverstone. Guardiamoci negli occhi e parliamoci chiaramente, amici appassionati di F1. Viviamo in un’epoca di sorpassi dopati dal DRS in un’orgia di manovre finte gloriose scaturite solo dalla differenze di assetto delle vetture coinvolte in pista. Apro l’ala, vado più veloce e via. Non si rischia nemmeno più. Perché farlo in un punto senza DRS quando sai che puoi aspettare il giro successivo in rettilineo? No grazie.
Il conduttore della TV a pagamento che trasmette i GP ora in Italia avrà anche pur detto che noi appassionati oldschool dobbiamo evolverci, ma sinceramente preferisco pensare e sognare di rivedere i bei vecchi tempi andati che scendere a patti con regole da videogioco arcade attuali. I sorpassi quelli veri. Quelli in cui il pilota mette in gioco se stesso. Quelli che ti fanno alzare dal divano o dalla tribuna. Quelli sono i sorpassi che porto per fortuna nella memoria e Silverstone 1987 è uno di quei momenti. Per una volta non voglio raccontarvelo io. Lascio fare a chi quel giorno era nell’abitacolo della sua Williams col 5 rosso fiammante… Nigel Mansell.
“Frank fu chiaro. Nessun ordine di squadra. Unico ordine, non buttarsi fuori. Di fronte a una folla ovviamente partigiana, Nelson si prende la pole deciso di vincere in casa mia. Lo seguo per 35 giri ma poi al 36° devo fermarmi ai box. Uno dei pesi di bilanciamento della ruota si stacca e comincia a vibrare tutto. Esco dai box con 30 secondi di ritardo a 28 giri dal termine. Ho una montagna da scalare contro un compagno di squadra difficilissimo sulla mia stessa vettura. Comincio a calcolare il ritmo da tenere fregandomene del computer di bordo e delle segnalazioni del team che mi dicono che avrei terminato la benzina e affronto tutti gli ultimi giri come fossi in qualifica. Nelson è costantemente avvertito dai suoi ingegneri ma io infrango il record di giri più veloci per ben 11 volte in quei 28 giri.
Secondo i miei calcoli, con zero errori e a quella velocità a due giri dal termine dovrei essere attaccato a Nelson. So anche che ho una sola chance di attaccarlo. Non mi lascerebbe mai un secondo tentativo. Ero spinto dalla folla la cui ola mi seguiva per tutto il tracciato. So anche che per Nelson è comunque difficile essere primo e dover controllare la gara guardando avanti e dietro. Amo inseguire chi mi sta davanti. A due giri dalla fine è li davanti a me come avevo calcolato. Non posso sbagliare. Sono sull’Hangar Straight e decido di fregarlo. Mi muovo leggermente a destra, poi scompaio, ritorno dietro di lui. Vado per andare a sinistra. Abbocca. Mi chiude a sinistra. Mi risposto a destra ed esco piu veloce risucchiato dalla scia verso la Stowe. Piquet ancora oggi odia quei momenti.
Dovevo vincere per la mia gente. Nel giro di ritorno ai box dopo la bandiera a scacchi finisco la benzina. Ho corso con il turbo sempre al massimo del boost. Il computer segnava meno due litri già nell’ultimo giro. Sono avvolto dalla folla e sono contentissimo. Non corro solo per me, corro anche per i miei tifosi”.
Echi di una F1 del passato. Echi di una F1 che ci ha rapiti, sedotti, fatti innamorare e che spesso oggi ci fa solo che incazzare.
Riccardo Turcato