Lo dicevo qualche giorno fa a un’amica: ogni volta che vado al Cimitero Maggiore a Milano a trovare i miei, non posso uscire se prima non passo a salutare Riccardo Paletti. E lì ogni volta resto a guardare la sua foto di ragazzo così normale, dall’aria timida, coi suoi occhiali tipici di quegli anni e i suoi riccioli, così lontano dagli stereotipi della figura eroica del pilota di F1.
Osservo il suo casco, i segni del passaggio di appassionati che non l’hanno mai dimenticato. E ritorno a quel 13 maggio 1982 al GP del Canada. Non so per quale motivo, ma tanti incidenti drammatici la mia mente li ha cancellati, mentre il suo è vivissimo e ancora oggi mi fa mancare il respiro. Riccardo avrà per sempre 23 anni, ne avrebbe compiuti 24 solo due giorni dopo, il 15 giugno. Quella qualifica sul circuito di Montreal è stata la seconda e ultima nella massima categoria a ruote scoperte per Riccardo, che dopo la gara avrebbe trovato ai box la mamma Gianna, giunta per fargli una sorpresa.
Nonostante la prematura scomparsa e il fatto che – diciamolo chiaramente, girarci attorno non serve – in sua memoria in questi 42 anni non siano stati scritti centinaia di libri, migliaia di articoli, organizzati eventi, non sia ricordato in TV nemmeno quando si corre a Montreal (si sa, è triste dirlo, ma ci sono sempre due pesi e due misure, basti pensare a Senna e Ratzenberger che, per quanto si tenti e ci si impegni, non sono mai messi sullo stesso piano, cosa che personalmente mi crea ogni volta fastidio, perché almeno nella morte dovremmo essere tutti uguali), il ricordo rimane vivo nei cuori della gente normale proprio come lui: “Un ragazzo tranquillo, amato per la sua educazione e modestia”, come disse il patron della squadra per cui correva Paletti, Enzo Osella.
In effetti, la razionalità è sempre stata il punto di forza del giovane milanese, sportivamente adottato dal circuito di Varano de’ Melegari dove ha compiuto i suoi primi passi in pista. Basti pensare che Paletti non volle nemmeno debuttare in Formula 1 alla fine del 1981, poiché avrebbe preferito fare ulteriore esperienza nella categoria cadetta. Malgrado ciò, una triste fatalità non gli ha permesso di evitare la Ferrari di Pironi (l’unica presente quel weekend), che dalla pole position rimase ferma in partenza al via di quel tragico GP canadese.
La qualifica alle gare era l’obiettivo primario per una delle squadre più piccole del Circus, e per la seconda volta in carriera Paletti prese parte a una gara di Formula 1, scattando dalla casella numero 23, tanti quanti i suoi anni, dove fu difficile notare la vettura del Cavallino Rampante ferma più avanti. L’impatto fu violento, le fiamme divamparono per una fuoriuscita di benzina dal serbatoio, e 20 interminabili minuti di attesa per tirarlo fuori dalla monoposto; nella stagione 1982, Paletti fu il secondo a cui spettò questo tragico destino, poche settimane dopo Gilles Villeneuve e al pilota canadese fu intitolato proprio il circuito sull’isola di Notre-Dame, sul quale Paletti percorse i suoi ultimi metri in pista.
L’asfalto fu compagno di avventure per il milanese dall’età di 19 anni. L’interesse tardivo all’automobilismo fu dovuto alle esperienze in età adolescenziale tra sci alpino e karate, e in quest’ultimo sport fu persino campione juniores. Un viaggio che potrebbe definirsi breve, ma in realtà continua senza una meta. La targa in sua memoria presente all’ingresso dell’Autodromo di Varano, che dal 1983 è intitolato proprio a Riccardo Paletti, è uno dei tanti modi per mantenere vivo il ricordo di un giovane pilota che ci ha lasciato troppo presto. Un giovane campione di generosità, come ricorda l’Autodromo. Semplice, uno che potevi incontrare sul tram della nostra Milano. Un ragazzo di 23 anni che ha lasciato un segno nella vita: chi ama le corse lo ricorda e lo ricorderà sempre e lo ricorderanno le prossime generazioni. E’ la sua magia. Se passate dal Cimitero Maggiore andate a fargli un saluto e sentirete, vedrete quanto è vivo e presente. Ciao, Riccardo, ci vediamo nei prossimi giorni…
Barbara Premoli