Mi è tornato alla mente. Mentre ero lì a guardare alcuni modellini di F1 di fine anni 80 inizio anni 90 e mentre sorseggiavo un bicchiere di acqua e menta. Il profumo che aveva la F1 quando la carta d’identità aveva molti meno anni riportati nero su bianco. Il profumo della F1 di quando i problemi veri erano dei tuoi genitori e non tuoi. L’edicola. Il profumo dei giornali. La F1 in quell’epoca aveva quell’odore di carta e inchiostro a cui dovevi affidarti per sapere le ultime notizie. Vedere le novità meccaniche e aerodinamiche. Per conoscere spesso piloti nuovi che si alternavano durante i test, spesso nelle scuderie di fondo griglia. Un profumo che ancora oggi resta quando si sfogliano i vecchi giornali. Non sparisce come spariscono notizie e foto al giorno d’oggi alla velocità del web che tutto ingloba nel suo inodore stato dell’essere.
Il profumo della F1 d’estate era quella delle qualifiche del venerdì. Dove i piloti tiravano da subito per paura che il giorno dopo piovesse. Era il pranzo della mamma al sabato. Una pasta non contata in grammi con la bilancina, perché tutto era sano comunque. Era il gusto fresco di acqua e sciroppo di menta che ti rinfrescava assieme al ventilatore. Sabato importante dove pregavi che non piovesse per vedere il tuo pilota potersi rifare se le cose erano andate male al venerdì… Ma sapevi che c’era sempre il warm-up la domenica. Speravi che durante quella mezz’ora mattutina si potesse ribaltare una situazione magari non facile. Il warm-up aveva il gusto della colazione. Del caffè, di un succo e di una pastina e bastava e avanzava quelle di un certo edificio bianco. Poi, mentre la nonna ci metteva il carico a pranzo, scodellando cibo in quantità industriali, si doveva crescere eh, arrivava de Adamich con Grand Prix e quel rif musicale che era il countdown alle due ore dalla partenza della gara.
Che gare quelle estati. Francia. Inghilterra. Germania. Con le vetture che si svestivano dai loghi del tabacco. Meno adorne sembravano più filanti e leggere. Quei caschi colorati che sporgevano dai telai. I piloti a fine gara stanchi. Sudati. Sembrava di sentire l’odore di quella fatica. Ci pensava Giorgio Piola con i suoi disegni a farti capire quanto stretti erano in quelle monoposto. E poi di nuovo l’edicola. E arrivava il GP d’Ungheria. A metà agosto. Bastardo. Metà agosto, non il gran premio. Era un campanello d’allarme. L’estate stava finendo. E le domande spontanee. Ho fatto tutti i compiti per le vacanze? Ho studiato un poco? Mi sono veramente divertito come mi ero ripromesso l’ultima campanella dell’anno scolastico?
Il GP d’Ungheria aveva il sapore della plastica della VHS. Cadendo di ferragosto si andava al mare o montagna. E quando tornavi a casa speravi che si fosse registrato, che la Rai non avesse cambiato improvvisamente canale o altro. Bei tempi. Era ferragosto coi suoi profumi estivi, ma sapevi che settembre era dietro l’angolo. Il campionato del mondo poi era quasi alla fine. Mica c’erano ancora una decina di gare come oggi. Che profumi quelle estati. Che gusti. Che colori. Non torneranno più. Per svariati motivi. Non solo perché siamo cresciuti e abbiamo mille impegni e le nonne non ci sono più.
Perché il mondo è cambiato, noi lo siamo e la F1 ancor di più. Quello che non cambia è il gusto fresco di acqua e menta che è qui sulla scrivania mentre scrivo queste righe in questa calda notte di giugno e che, con i modellini, mi riporta alla mente il profumo di una F1 che non c’è più ma che ringrazio di aver vissuto e che spero sempre di poter raccontare.
Riccardo Turcato