“Dov’eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso“. Così diceva Lucio Dalla. La stessa domanda per me vale per tutto quel weekend di Imola di 25 anni fa, dove si concentrò tutto il male possibile. Venerdì il terribile incidente di Rubens Barrichello. Sabato la morte di Roland Ratzenberger. Domenica, una serie di drammi: l’incidente della Lotus di Pedro Lamy, con la gomma che vola oltre la rete, ferendo quattro persone; dopo la safety car, la gara riprende fino alla tragedia di Ayrton Senna al Tamburello; si sfiora un’altra tragedia quando viene dato il via al pilota della Larousse Erik Comas che rischia di investire i soccorritori; Ayrton se ne va in elicottero e, come mi ripeteva sempre Michele, quando vedi alzarsi l’elicottero capisci… In un mondo ideale, la gara avrebbe dovuto essere sospesa, ma viene dato un nuovo via e si sfiora un’altra tragedia quando alla ripartenza dal pitstop dalla Minardi di Alboreto si stacca la gomma posteriore destra, che prende in pieno tre meccanici della Ferrari, uno della Lotus e uno della Benetton, prima di passare sopra alla testa dello stesso Michele e attraversare la pista mentre sta arrivando Damon Hill, sfiorandolo di un niente.
Si parla di Imola 1994 e tutti subito a pensare ad Ayrton. Si celebrano i 25 anni della sua morte, si fanno mostre, Speciali, documentari. Se va bene, di Roland si parla di striscio, come se non se ne potesse fare a meno, come se fosse una comparsa. Per lui niente RolandDay, forse perché non rende dal punto di vista del business, non ci sono memorabilia da vendere. Lui era uno “normale”, non era “il Campione”. Palle quando si dice che siamo tutti uguali di fronte alla morte, Roland e Ayrton ne sono la prova. Ma non ci si lamenti, poi, che non esiste cultura, delle corse e in generale. Ayrton avrebbe sicuramente portato avanti il ricordo di Roland, come quella bandiera austriaca infilata nell’abitacolo che voleva sventolare a fine GP…
“Dov’eri quando è morto Ayrton Senna? Prova a fare questa domanda a chiunque. Ciascuno ti risponderà descrivendoti un luogo, il momento preciso“. Questa frase mi ha sempre fatta riflettere, pensare e ripensare. Perché è vera: quando chiedo, tutti ricordano in modo preciso, anche in famiglia. Tutti. Non io. Per me quel weekend non esiste, cancellato. Eppure l’ho vista quella gara, ero davanti alla TV come sempre, i miei mi hanno sempre detto che eravamo lì insieme. Niente, il vuoto. Ogni volta che vado a Imola non posso non passare da quei punti della pista, ma non li sento lì, Roland e Ayrton. Guardo la statua e ogni volta inorridisco, perché quella roba – che sarà anche un’opera d’arte – non ha niente di Ayrton. Lui non ha mai abbassato la testa, non l’avrebbe mai fatto. Quella statua è quasi fuori luogo, perché lui è ovunque. Lui non era neppure a Morumbi quando sono andata a trovarlo. Non lì sotto i miei piedi, ma tutt’intorno, come un abbraccio. E Roland non è le foto immobili dell’incidente, era un ragazzo con gli occhi sorridenti, che amava la vita, oltre alla velocità.
Imola per me è sempre stata emozione, come nel 2004 quando, accanto a Viviane, ho visto e sentito passare la sua monoposto guidata da Gerhard Berger. Ma Imola, per assurdo, è anche energia: perché quel weekend avrebbe potuto essere persino più maledetto di quanto non sia stato. Giusto ricordare i 25 anni della scomparsa di Roland e Ayrton, ma altrettanto giusto celebrare la vita, coi colori della foto di gruppo dei piloti del 1994: 25 anni fa quella fetida carogna di Imola ci ha tolto tantissimo, ma ha graziato Rubens Barrichello, Pedro Lamy e i quattro spettatori feriti, Erik Comas e chi non ha investito, Michele Alboreto, cinque meccanici, Damon Hill, e ha dato vita a una Formula 1 più sicura. Lo dobbiamo a Roland e ad Ayrton.
Barbara Premoli