“Sei troppo legato al passato. Sei contrario sempre a tutto. I tempi sono cambiati. Siamo nel 2019”. E’ vero. Siamo nel 2019 e anche quest’anno al via del Mondiale vedremo impegnati 20 piloti che lotteranno da Melbourne per la corona iridata. Scrivo queste righe conscio di quanto riportato nel virgolettato sopra e, a mia discolpa nell’essere troppo nostalgico, vorrei far notare che 30 anni fa, nel 1989, i piloti in F1 in lotta per l’alloro iridato erano ben 46!
Sì, è vero. I tempi sono cambiati. E’ una F1 diversa. Molto più tecnologica e complessa nella parte costruttiva delle auto. Con motori ibridi che costano uno sproposito e team da 500 persone. Però che la F1 non attiri più nuovi team e motoristi è un dato di fatto. L’ultimo ingresso importante è della Honda che, senza la possibilità di fare test, ha faticato oltre ogni possibile immaginazione e in modo inaspettato per un gigante tecnologico quale è. In vista dei nuovi regolamenti del 2021, sempre se verranno confermati e si vada oltre ai rendering, non si vede nessun nuovo team o azienda motoristica che abbia voglia di cimentarsi in questa F1. Anzi, c’è da tenere d’occhio questa Mercedes che si impegnerà nel campionato Formula E. Abbiamo visto chiaramente cosa è successo nell’endurance con Audi e Porsche quando hanno deciso di staccare la spina dal campionato.
E’ una F1 che, per anni ha ripudiato i team privati facendo la corte ai colossi dell’automobile, assecondando le loro richieste sui regolamenti motoristici attuali, ma poi si è trovata con poco in pista. C’è del movimento, è vero, con un nome come Alfa Romeo che rientra in gioco ed è alla scoperta di quello che vorrà fare da grande. Ma ci sono team storici come Williams e McLaren che faticano a risalire la china. Abbiamo un team salvato in zona Cesarini che è la Racing Point. Una Renault che fatica a riemerge. Una Red Bull che ha rischiato forte scegliendo Honda e spera che i nipponici abbiano finalmente azzeccato il motore. Davanti ci sono due colonne che, a meno di terribili errori progettuali (difficile..) si contenderanno ancora vittorie e podii.
Non è che nel 1989 non ci fossero i super team e quelli che navigavano costantemente nelle retrovie. Primi e ultimi, dominanti e non, ci sono sempre stati. Ma soffermiamoci a pensare che il 1989 è stato un anno con un cambio regolamentare importante, passando dai motori turbo del 1988 agli aspirati 3.5 di cilindrata, con nuove regole telaistiche, e in pista avevamo comunque 20 scuderie!
Le voglio ricordare: McLaren, Tyrrell, Williams, Brabham, Arrows, Lotus, Leyton House March, Osella, Benetton, BMS Dallara, Minardi, Ligier, Ferrari, Larrousse, Coloni, Eurobrun, Zakspeed, Onyx, Rial e AGS. I motori erano Honda, Ferrari, Lamborghini, Ford, Judd, Yamaha e Renault. Due i fornitori di pneumatici: Goodyear e Pirelli.
I piloti, tra cui 14 (!) italiani: Prost, Senna, Patrese, Mansell, Boutsen, Nannini, Berger, Piquet, Alesi, Warwick, Johansson, Alboreto, Cheever, Herbert, Martini, de Cesaris, Gugelmin, Modena, Caffi, Brundle, Danner, Nakajima, Arnoux, Pirro, Palmer, Tarquini, Alliot, Grouillard, Sala, Barilla, Bernard, Capelli, Dalmas, Donnelly, Gachot, Ghinzani, Letho, Moreno, Raphanel, Larini, Schneider, Bertaggia, Foitek, Larrauri, Suzuki, Weidler e Winkelhock. Di cui ben 29 a punti nella stagione.
Penso sia bene ricordare questa lista di nomi anche se magari può risultare noiosa. Deve essere ricordata per far notare la varietà di piloti, team e fornitori tecnici coinvolti, in un anno, come detto, di rivoluzione regolamentare e non di stabilità tecnica. E’ bello ricordare che il 1989 è stato anche l’anno in cui la nostra Minardi ha condotto anche un gran premio, quello del Portogallo, tanto per chiudere il pezzo con un sospiro nostalgico. Trent’anni anni sono tanti. Capiamo benissimo che tornare a quel melting-pot iridato è impossibile, ma non possiamo nemmeno tacere guardando questa F1 che a fatica presenta come si dovrebbe una monoposto e che sembra non voler parlare seriamente del proprio futuro.
Riccardo Turcato