pronto, dopo la Rio olimpica, a tornare dove ogni cosa è iniziata nella sua vita: i circuiti, le corse, l’addomesticamento del motore. L’appuntamento al Mugello per l’ultima tappa del campionato GT italiano, uno dei 300 e passa campionati che calzano gomme Pirelli in tutto il mondo, nel quale il “pilota olimpico” ha guidato una BMW M6 GT3, portandola al successo in Gara 2. A guidarlo al ritorno in pista è l’istinto, la passione. Istinto e passione che, a sua volta, lui sa guidare. Forse come pochi altri. “Sono stato lontano da questo mondo per un anno, ma appena ho messo in moto questa M6 è scattata l’adrenalina. D’altra parte sono state le corse a dare il la a tutto il resto, nella mia vita. Il punto è cercare di non avere pregiudizi nemmeno nei confronti di chi una volta ti ha fatto del male. È stupido negare una seconda occasione alla vita”.
Prima del nuovo flirt con la pista, il 2016 di Alex è stato soprattutto l’anno dei nuovi trionfi olimpici. “Ma io non ho cominciato a fare ciclismo per essere un giorno ringraziato dal Presidente della Repubblica. Io volevo solo pedalare**.”
A Rio de Janeiro due ori e un argento, accolti da Zanardi con la sua proverbiale distensione: “Gli applausi fanno piacere, ovvio, ma quello che conta è sapere che saresti felice anche se il traguardo fosse in un bosco, senza pubblico. A un certo punto le gare diventano soltanto una scusa per poter continuare a fare quello che ami durante tutta la settimana. L’ambizione è il colpo di reni, ma comincia tutto dalla passione”.
Passione che a sua volta, secondo Alex, è esperienza sensoriale prima ancora che atteggiamento mentale: “Prima o poi succede: senti qualcosa, giri la testa, guardi in quella direzione. Diciamo che, se la passione è una pianta da coltivare, il suo seme ha a che fare più col carattere. Può condurre uno alla musica, un altro alla pittura, un altro ancora allo sport. Sono convinto che lo sport sia una forma d’arte, in questo senso”. Nell’approccio zanardiano all’istinto sportivo e alle sue multiformi realizzazioni, il concetto di talento sembra quasi arrossire al cospetto di quello di volontà: “Io credo che il talento naturale conti per una minima parte. Ciascuno di noi ha talento a sufficienza per riuscire alla grande in tutto ciò che si propone nella vita, e non parlo solo di sport. Non ho dubbi su questo”. Nessun rischio che l’ammirazione nei confronti dei campioni possa evolvere in invidia? “Non siamo tutti Lewis Hamilton, è chiaro. Ma siamo tutti in grado di avvicinare il nostro limite, realizzandoci”.
Tra pochi giorni Alex Zanardi compirà 50 anni. Le ruote sono il filo conduttore della sua esistenza. Ruote intese come gomme su cui correre, innanzitutto. “O verso le quali provare invidia”, scherza. “Ho avuto il privilegio di correre su tante belle auto, ma un piccolo rimpianto ce l’ho. Mi sarebbe piaciuto usare gli pneumatici Pirelli al mio esordio in Formula 1, nel 1991. Quelli della stagione precedente erano incredibilmente competitivi, mi affascinava l’idea di provarli, ma l’azienda lasciò la F1 proprio quando arrivai io. Per fortuna mi sto rifacendo in questi anni”.
Ma ruote sono anche i corsi e ricorsi, e i cerchi che si chiudono. Zanardi considera il ritorno alla passione delle origini come parte di un percorso plastico ma unitario, finalizzato al continuo miglioramento di se stesso: si dice tanto orgoglioso del suo passato quanto pienamente proiettato nel futuro. Perché Alex Zanardi fa parte della categoria di uomini che sono piloti per natura: un volante o un manubrio non fa troppa differenza, basta che permetta al corpo di estendersi, di andare più veloce e più lontano. “Ho una vita davanti da vivere, e voglio infilarci dentro qualcos’altro. Le passioni ci rendono persone migliori”.
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