Paolo Barilla, oltre a essere un noto imprenditore italiano, è stato anche pilota automobilistico che ha difeso i colori del Minardi Team sia in Formula 2
sia in Formula 1, prima di vincere la 24 Ore di La Mans e partecipare alla Dakar. Il Campionato del Mondo di F1 è prossimo ad alzare il sipario coi primi test ufficiali a Barcellona e Minardi.it ha incontrato Paolo per parlare del suo passato nel motorport e della situazione attuale del Circus.
Negli ultimi anni la Formula 1 ha perso diversi marchi importanti. E’ ancora un buon investimento?
In questo momento no. La Formula 1 è un modello obsoleto poiché non è stata in grado di rinnovarsi stando al passo con i tempi. Bernie Ecclestone e il fondo CVC che gestisce il business non stanno facendo le azioni necessarie per un suo rilancio.
In che senso?
Gli uomini nascono in un contesto e costruiscono un sistema in base alla loro cultura ed esperienza. Ha fatto il suo tempo. Come esempio possiamo usare l’architettura. Oggi, per progettare e costruire, bisogna conoscere le ultime tecnologie in ambito energetico dove, allo stile e al design, si abbina l’innovazione tecnologica. Ecclestone è stato un ottimo commerciale che vendeva un prodotto il cui marketing, negli anni 80, veniva fatto in modo magistrale principalmente dalla Philip Morris. Col divieto delle pubblicità sulle monoposto l’impegno è andando scemando. Oggi la Red Bull sta provando a fare qualcosa di simile, ma in modo diverso e meno impattante.
Negli ultimi anni i gran premi hanno registrato un calo di interesse
Siamo nell’era dei videogiochi, il cui fatturato è da capogiro. Perché un ragazzo dovrebbe stare davanti alla TV per quasi due ore a guardare uno spettacolo dove succede poco, quando potrebbe essere lui il vero protagonista con un videogioco, che sia di motori o avventura? Non sarebbe più utile coinvolgere direttamente il pubblico giovane rendendolo protagonista?
In che modo?
Creando un Campionato del Mondo Virtuale di F1, parallelo al reale. Con gli stessi team, le stesse macchine e lo stesso calendario in cui i piloti sono i ragazzi scelti, perché no, dai team stessi. Ferrari, Mercedes, McLaren, Red Bull ecc potrebbero avere anche un team virtuale. In questo modo si attirerebbe un pubblico molto numeroso, fondamentale anche per gli sponsor stessi. Bisogna unire le forze. Il mondo è cambiato velocemente. Guardiamo Facebook, Google…
Si parla di intervenire sui regolamenti tecnici per migliorare lo spettacolo
Non devono essere gli ingegneri a cambiare la F1. Loro stravedono per i numeri. Persino la vernice della macchina è un peso inutile. E’ come andare al ristorante portandosi dietro il nutrizionista. Coinvolgerei persone che si occupano di spettacolo per farsi dare un’opinione e suggerimenti, vedrei bene uno scenografo di Hollywood. Trovo limitante voler salvare la Formula 1 intervenendo solo sui regolamenti tecnici. Cosa serve avere macchine da 1000 CV? Oggi abbiamo già una F1 velocissima. I pitstop vengono fatti in 2”… A volte non mi accorgo se le gomme sono state realmente cambiate. Non si potrebbero usare meno meccanici? Le macchine affrontano i cambi di direzione e chicane in modo troppo rapido. Sembrano correre su binari, senza la minima sbavatura. Sembra tutto facilissimo. Non viene trasmesso lo sforzo fisico del pilota e la sua abilità. Se guardiamo una gara di MotoGP, si percepiscono tutti i gesti e gli sforzi che devono affrontare i piloti per l’inserimento in curva. Bisognerebbe lavorare sul coefficiente di aderenza.
I team hanno delle responsabilità?
L’intero sistema va rivisto. L’audience cala e quindi Ecclestone aumenta il numero di GP portando la Formula 1 verso Paesi senza una storia motoristica come l’Azerbajian … Come si dice da noi è “uno spremitore di limoni”. Preferisce spremere fino all’ultima goccia gli organizzatori e i circuiti, minacciandoli di portare via la corsa. Purtroppo i team guardano solo il loro business. Prendiamo il caso della Renault che proprio in questi giorni ha presentato il team: sono tornati come costruttori solo perché gli è stato garantito lo stato di “team storico” ovvero una fetta dei proventi televisivi. Sono rientrati dalla porta di servizio senza dare uno stimolo per grandi cambiamenti.
Anche quest’anno non ci saranno piloti italiani in Formula 1, nonostante si mettano in evidenza nel campionati internazionali più importanti come GP2, GP3 e F3 europea
La Formula 1 oggi è troppo costosa per le aziende. Ci vorrebbe l’intervento diretto della Ferrari e della Federazione per aiutare i ragazzi a crescere e a trovare poi uno sbocco nel professionismo.
La carriera tra i motori di Paolo Barilla inizia dai kart, dove si fa le ossa per 5 anni, prima del suo ingresso tra le monoposto partecipando alla Formula Abarth. “Ero un autodidatta, nel senso che non avevo nessuno al mio fianco. La prima parte della stagione è volta all’apprendistato, ma una volta preso confidenza con la vettura scalo le posizioni portandomi nel gruppo dei primi”. L’incontro con Raverotto nel 1981 lo porta a correre in Formula 3. “Nelle prime quattro gare conquistai 28 punti, grazie a due successi e due podi. Nelle restanti gare, per qualche incidente e per problemi tecnici, ho fatto solamente 12 punti in altrettanti appuntamenti. Durante la stagione Gian Carlo Minardi mi contattò per correre con lui in Formula 2, a Donington e Pergusa. In
quegli anni però ero abbastanza sprovveduto, nel senso che correvo perché mi piaceva, senza avere un programma preciso e la F2 era un bel traguardo poiché aveva il doppio dei cavalli rispetto alla F3. Per essere un esordiente le due gare andarono bene, lottando a centro gruppo. L’anno successivo decisi quindi di proseguire col Minardi Team, che nel frattempo aveva perso l’appoggio della Pirelli. Pertanto la stagione scivolò via in modo anonimo. Volevo diventare un pilota professionista e passai pertanto ai prototipi e, successivamente, andai in Giappone con la F3000”
Nel 1987 l’amico Pierluigi Martini lo chiama per correre con lui in F3000. “La stagione precedente Piero si era messo in evidenza con una Ralt non ufficiale. Le premesse erano quindi buone” Fin dall’inizio del campionato qualcosa però non va. “La macchina non è all’altezza delle aspettativa e non riusciamo a capirne il motivo. A stagione inoltrata, e casualmente, ci accorgiamo che nel telaio mancava una parte della centina del serbatoio. Un errore di costruzione alquanto strano. Ci sistemano il telaio e torniamo subito davanti a tutti, anche alle Ralt ufficiali. Purtroppo però in gara la nostra macchina si fermò per un cedimento”
Nel 1989 arriva la chiamata da Gian Carlo per sostituire Martini in F1
Il sogno era la Formula 1 e quando Minardi mi chiamò per sostituire l’infortunato Martini accettai subito. Per di più si correva a Suzuka, una pista che conoscevo come le mie tasche. Purtroppo però non riuscivo a stare dentro l’abitacolo, costruito attorno alle misure di Piero. In qualifica riesco a fare, per i dolori, solamente un run, mentre in gara si ruppe la frizione. Col senno del poi forse è stato meglio così.
L’anno successivo fai coppia con Martini con la M190
Anche la macchina nuova era sempre troppo stretta per la mia statura. La stagione partiva già in salita, ma decido di andare comunque avanti. Otteniamo dei buoni risultati, ma il problema principale erano le gomme. La Pirelli, in quel momento, non aveva la forza di fornire tutti i suoi team allo stesso livello qualitativo, prediligendo in particolar modo la Tyrrel di Alesi. In Giappone avevo collaborato con la Bridgestone nello sviluppo delle gomme per la F1, quindi avevo un know-how ottimo e fin dai primi giri mi accorgevo se qualcosa non funzionava nel verso giusto. In più, nelle prove invernali a Estoril con la macchina vecchia, avevo girato più veloce di 3” rispetto al week-end di gara dell’anno successivo. Purtroppo la Pirelli non l’ha mai dichiarato apertamente. La stagione è finita in modo inglorioso
Come giudichi la tua esperienza nel Mondiale?
E’ stata un’esperienza fantastica e straordinaria. In quegli anni il mio obiettivo era arrivare in F1. Non ci fossi riuscito mi sarebbe mancato qualcosa. Dopo ho capito che non è l’ambiente che fa per me poiché non rispecchia il mio carattere. Per restare in F1 devi essere molto determinato, pronto a tutto. Devi fare in modo che tutti ti ascoltino tenendo altissima la tensione all’interno del team, come facevano Senna o Piquet. In un’intervista recente Piquet ha dichiarato di aver attaccato più volte Mansell su episodi personali col solo obiettivo di destabilizzarlo e toglierli la concentrazione. Se arriviamo ai giorni nostri, Vettel con Webber è stato molto duro. In Verstappen rivedo la stessa determinazione. Sembra dire “toglietevi che sto arrivando”
Hai vinto anche la 24 Ore di Le Mans
Nelle gare Endurance sono sempre andato molto bene. Anche il tipo di ambiente era decisamente diverso. Il mio carattere non tende a prevaricare gli altri e con i compagni ho sempre collaborato per raggiungere il migliore obiettivo comune
…oltre ad aver partecipato a diverse edizioni della Dakar
Esperienza piacevole e magica, soprattutto quella africana. Ho partecipato a diverse edizioni senza ambizioni di risultato. Volevamo solamente arrivare al traguardo vivendo l’esperienza al meglio.
Alberto Fussotto – www.minardi.it