Dici circuito cittadino e pensi a Montecarlo. Ovvero: curve in successione, traiettorie obbligate e velocità tutto sommato basse. Impossibilità di sorpasso se non grazie a qualche gesto eclatante, tipo in cima alla salita verso il Casinò o nell’allungo del tunnel, fino alla chicane sul porto. Poi arriva Baku e sconvolge la prospettiva. Perché anche la capitale dell’Azerbaijan, con il suo GP introdotto in calendario nel 2016, ha un circuito secondo caratteristiche precedenti. La prima parte del tracciato è una serie di sinistra-destra-sinistra a novanta gradi: muretti e reti di contenimento su entrambi i lati, sede stradale più larga che non a Montecarlo ma visibilità comunque ristretta e possibilità di sorpasso ridotte al lumicino. La sezione centrale, all’interno della città vecchia, aumenta il senso di soffocamento. La pista si fa stretta, l’obbligo di procedere in fila è praticamente inevitabile e la salita fino all’ingresso del castello, anche abbastanza ripida, rende tutto ancora più angusto. Ma poi la strada inizia ad allargarsi e finalmente, con l’inizio della discesa verso il lungomare, la musica cambia del tutto.
Inizia qui, infatti, un rettilineo di oltre 2.200 metri. Non nel vero senso delle parole: i tratti diritti sono due, ma li congiunge una curva a destra ampia e poco accennata, che le F1 percorrono assolutamente in pieno arrivando a godere, nella parte finale che passa davanti ai box, degli oltre due chilometri di allungo assoluto che portano le velocità massima oltre i 340 chilometri l’ora. Tanto per intenderci, a Monza il rettilineo dei box misura poco più di un chilometro.
I rettilinei particolari sono una grande variabile nella storia delle corse. Al termine di un dritto di indimenticabile rilievo storico, quello del Mistral sul vecchio circuito di Le Castellet in Francia, si raggiungevano velocità paradossali, soprattutto quando il suddetto vento di Mistral soffiava spingendo le F1 a prestazioni sempre maggiori. Al termine c’era una curva a destra selettiva ma non secca: il suo punto di staccata serviva come termine di paragone per capire quali piloti sollevavano il piede dal gas più tardi, iscrivendosi di diritto alla galleria dei campioni. Al termine dei 2.200 metri a tutta manetta di Baku, invece, c’è la prima curva del giro. Una 90 gradi a sinistra: già delicata al via della gara, quando dopo poco dal semaforo verde vi si arriva tutti in gruppo e l’ammucchiata è un rischio più che teorico. Ma quando vi si arriva a 340 all’ora, magari in lotta, allora diventa una trappola.
Un anno fa le due Red Bull, con Ricciardo e Max Verstappen in lotta aperta, finirono per tamponarsi al termine di una serie di attacchi e difese, di finte e controfinte. Risultato: due monoposto semidistrutte, tanti punti buttati e il team austro-britannico leggermente risentito… Ma alla Ferrari non andò meglio. Le Rosse, un anno fa a Baku, erano imbattibili. Vettel era scomparso al comando già nelle primissime battute, e soltanto un periodo di rallentamento dovuto ad alcuni incidenti gli aveva riportato gli avversari in scia, per uno sprint finale da giocarsi alla ripartenza.
Quando la Safety Car rientra ai box, ripartire al meglio è sempre un’arte. I pneumatici si sono raffreddati, tutto è da giocarsi accelerando il prima possibile ma senza anticipare il punto preciso in cui questo è autorizzato dal regolamento, altrimenti le sanzioni sono implacabili. Vettel si era fermato per montare gomme fresche e di tipo tenero, così da avere tanti muscoli nel finale di GP. Ma al momento clou, uscito di traiettoria della Mercedes di Bottas per superarla a ritrovarsi al comando, finito larghissimo all’esterno della prima curva, dicendo addio a qualsiasi chance di vittoria e regalandola quindi all’altra Mercedes, quella di Lewis Hamilton, fino a quel punto protagonista di una quasi rassegnata gara di rincalzo.