Partito dalla pole Lewis Hamilton ha vinto per la quarta volta il GP di Singapore, 69° successo in carriera, il quinto nelle ultime quattro gare, portando a 40 punti il vantaggio su Sebastian Vettel, oggi terzo, alle spalle di Max Verstappen. Vi sembra strano il titolo? Che abbia vinto la motivazione e non la macchina più forte? Noi abbiamo una nostra teoria – condivisibile o meno – e ve la spieghiamo proprio col resoconto di questo 15° round del Mondiale…
In pratica la Mercedes è stata una delle macchine meno inquadrate sotto i riflettori che illuminano a giorno il Marina Bay Circuit, con l’azione – davvero scarsa a dire il vero – che si è svolta tutta dietro al suo alettone. Dopo sole tre curve, è entrata in azione la safety car (che conferma quindi il suo record di presenze al 100% qui a Singapore), per la collisione tra le Force India e il gesto assurdo di Perez che ha messo fuori gioco il compagno di squadra Ocon.
Ma subito prima del congelamento delle posizioni, Vettel è riuscito a superare Verstappen, un’azione che ha illuso i ferraristi, ma che poi non ha portato i frutti sperati. Il team l’ha richiamato nel giro 14 per il pitstop, montandogli le ultrasoft, e non è riuscito a fare l’undercut su Hamilton, finendo dietro a Verstappen dopo il primo round di soste. Da quel momento Vettel ha guidato come in difesa, fino al traguardo, che ha visto Hamilton portare a casa 25 punti contro i 15 del tedesco.
Dopo i problemi avuti durante tutto il weekend, grande soddisfazione per Verstappen che ha confermato in gara la seconda posizione delle qualifiche, in una gara che vedeva la Red Bull favorita per la vittoria, forse ultima occasione in questo 2018. Quarto Valtteri Bottas, che è riuscito a tenere dietro Kimi Raikkonen, seguito da Daniel Ricciardo, in una gara particolarmente opaca. D’altronde ormai è fuori dai giochi, anche dalle riunioni del team, e quindi siamo onesti, chi gliela fa fare di spingere più del necessario?
Giornata positiva per la McLaren, con Fernando Alonso che da 11° ha chiuso 7°, davanti alla Renault di Carlos Sainz e alla Sauber di Charles Leclerc, 9°. A chiudere la zona punti la seconda Renault di Nico Hulkenberg. Il protagonista in negativo della gara è sicuramente Sergio Perez, incomprensibile nelle due azioni contro Ocon e poi Sirotkin, nel giro 33, quando l’ha letteralmente sportellato, rimediando una foratura alla posteriore sinistra e poi un drive-through (mentre per il primo incidente i commissari non avevano comminato penalità, probabilmente considerando che la Force India aveva già avuto sufficienti danni).
Ma Perez almeno ha avuto il merito di movimentare una gara altrimenti di una noia mortale, un trenino assurdo, con piloti che guidavano al risparmio manco fossero al volante di un’utilitaria elettrica con 20 km di autonomia e la prima colonnina a 25! Sarebbe questo lo spettacolo offerto da Liberty Media? Standing ovation, davvero! Interessa a qualcuno che la macchina del vincitore arrivi su una nuova piattaforma stile discoteca ma per 61 giri il pubblico sia stato con gli stuzzicadenti nelle palpebre e la flebo di caffè nel braccio? Abbiamo già quello strazio di Formula E, per favore lasciateci almeno questa F1, anche se non è comunque quella vera…
Conclusioni? Una Mercedes che nelle mani di Hamilton fa fuochi d’artificio come quelli che hanno illuminato a giorno la pista dopo il traguardo: ha dato 8,9s a Verstappen, 39,9s a Vettel e 51,9s a Bottas e questo dice tutto. Mancano sei gare alla fine, restano sul tavolo 150 punti con 40 di gap tra i leader del Mondiale. Se la Ferrari ha ancora speranze, è la domanda di tutti. La risposta forse oggi ce l’hanno data gli sguardi e le espressioni sui visi di Vettel e soprattutto dei meccanici della Scuderia sotto il podio. Delusione, come se tutti avessero già smesso di crederci. Una cosa non bella e non corretta, perché lo si dice ma è la realtà: il campionato non è finito finché a dirlo non è la classifica e adesso è ancora tutta da giocare.
Non riusciamo quindi a capire perché questa mancanza di motivazione, come se tutti avessero accusato un colpo psicologico (sicuramente inferto da Hamilton) prima del tempo. E allora la domanda sorge spontanea: possibile che a Maranello non ci sia qualcuno in grado di lavorare a livello psicologico sulla motivazione e “la testa” degli uomini? La macchina può essere perfetta, ma se dietro non c’è una mente lucida, forte e motivata non si arriverà mai sul tetto del mondo. Specie se davanti c’è Lewis Hamilton, uno che ha fatto della motivazione il suo credo. L’avete sentito il suo team radio dopo l’arrivo, vero? “Keep pushing, God is with us“. Da qualunque parte tragga la sua forza, è un dato di fatto: vince, anche quando come qui e a Monza la Mercedes non era la macchina favorita. E un Vettel spento può caricare i suoi se è lui il primo a non crederci?
Barbara Premoli