Castrato. Depauperato. Impoverito nell’anima. Per chi come me ha amato, e ama, il vecchio Hockenheim, ogni volta che una vettura dopo la prima curva del rettifilo principale, invece di gettarsi nel bosco, gira a destra per percorrere il nuovo layout, non può che condividere i sentimenti di tristezza e malinconia delle imprese nel vecchio tracciato che fu. Sì perché Hockenheim era una sfida di velocità unica con la quale nemmeno Monza poteva competere.
Preparare la monoposto per gli infiniti rettilinei nella foresta e faticare poi a gestirla nel motodromo, oppure assettare l’auto per il motodromo ed arrancare in velocità? Se penso poi quando i piloti dovevano tenere la vettura con una mano sola in scalata alle chicane, un brivido percuote la mia memoria pensando alla sfida che dovevano affrontare giro dopo giro, dopo giro, con gli occhi a scrutare il contagiri del motore messo alla frusta in latrati di agonia da piede a tavoletta. Si aspettava il GP di Germania anche per vedere quelle ali anteriori e posteriori scariche con profili alari minuscoli in nome di una diversità tecnica che oggi si va perdendo.
Oggi abbiamo uno dei piu brutti, insignificanti e banali layout al mondo. Rettilinei evirati a cancellare la storia dove riposano per sempre le anime di Jim Clark e Patrick Depailler. Tutto perché? Per qualche tribuna in più, per rendere l’evento più facilmente gestibile dalle TV. Sì perché quei secondi che i piloti trascorrevano tra i boschi a tutta velocità che tanto piacevano ai tifosi, in realtà a chi batteva cassa non interessavano più. Non rassegnamoci a un mondo senza sfide. La storia senza sfide non si scrive e ad Hockenheim si è compiuto uno dei più brutti delitti di architettura sportiva del mondo.
Riccardo Turcato
The old Hockenheim layout, last used in 2001, those long straights into the forest now reclaimed by nature. 🇩🇪 #F1 pic.twitter.com/Csz570QoCs
— F1 in the 1990s 🏎 (@1990sF1) 19 luglio 2018