Questo multitasking frenetico, che è possibile osservare quotidianamente in giro per le città o sui mezzi pubblici, inciderebbe sull’attenzione selettiva e sulla memoria associativa a lungo termine. Ciò significa che i nativi digitali si distraggono più facilmente, poiché non riescono a tenere un alto livello di concentrazione a lungo. Si tratta di osservazioni che ancora non possono essere confermate da studi precisi, vista la giovane età del fenomeno, ma che aprono nuovi e interessanti scenari di studio per il futuro della società umana.
Ciò su cui molti sembrano concordare è una prima diversificazione delle generazioni anche all’interno della “categoria” dei nativi digitali. Chi è nato nel 1985 o nel 1990 ha vissuto esperienze digitali totalmente diverse rispetto a chi è venuto al mondo negli anni del nuovo millennio: interfacce grafiche diverse, dispositivi diversi (smartphone al posto di “semplici” cellulari), abitudini e competenze differenti. Provate a mettere in mano ad un quindicenne di oggi un joystick con ventose per giocare, non saprebbe neanche da dove cominciare. Insomma, risulta difficile collegare i nati di lustri diversi attraverso un filo digitale, semplicemente perché la tecnologia e il digital thinking hanno viaggiato a una velocità elevatissima da un anno all’altro.
I nativi digitali ragionano in modo diverso. Non vanno su internet, ma su YouTube, Facebook e Twitter, perché questi sono gli unici siti (sotto forma di app, ovviamente) che visitano, tanto da essere considerati sostituti, in tutto e per tutto, della Rete. Non vedono il mondo del web come un’infrastruttura, come un mezzo che porta l’essere umano alla connessione globale.
Internet è per loro un “bisogno generazionale”, fa parte di quelle esigenze quotidiane necessarie come qualunque altra attività vitale. Ciò però impedisce ai millennials di conoscere a fondo la creatura che li “nutre” quotidianamente. Vedono i servizi commerciali come applicazioni carine graficamente, mandano pochissime mail e preferiscono WhatsApp e Messenger di Facebook per comunicare anche informazioni o notizie importanti, non hanno percezione dei limiti e del consumo di banda, si scambiano foto personali tramite software pensando di non essere “visti”, o mettono “Mi piace” a caso su Facebook senza pensare troppo alle conseguenze o al fatto che molte aziende online catalogano le scelte virtuali per guadagnarci, studiare le abitudini degli utenti e magari rivenderle.
Rispetto al passato, la comprensione di come funzionano i dispositivi e le tecnologie di uso quotidiano sta avvenendo in modo minore, o non sta avvenendo affatto. I nativi digitali crescono senza saper smontare, vedere, “smanettare”, scoprire, testare, essere hacker, inteso nel senso positivo del termine! L’evoluzione della tecnologia in forme sempre più user friendly non gli permette di avere le possibilità che hanno avuto gli immigrati digitali, obbligati ad imparare, a trovare soluzioni per far funzionare qualunque cosa informatica e tecnologica. La tecnologia di oggi rende i nativi digitali semplici utenti.
Quel brivido di libertà e intraprendenza che offrivano i PC self made, i modem con connessioni primitive ma emozionanti nel loro suono gracchiante, e i primi siti web sono stati spediti nell’oblio dalla brillantezza dei Gorilla Glass e dei touch screen nel quale i millennials si riflettono per gran parte del giorno. Quella che sta nascendo oggi è una generazione di falsi nativi digitali, senza alcuna competenza informatica. Un moderno Youtuber non è un ingegnere. Intorno alla nuova generazione di nativi digitali si sta costruendo, giorno dopo giorno, prodotto dopo prodotto, app dopo app, un mondo virtuale chiuso e gestito da altri, dal quale diventa sempre più difficile uscire per diventare competenti, per comprendere le dinamiche di questo mondo. E in questo contesto, pensare di trasformare un adolescente nativo digitale in un vero informatico comprando un tablet o uno smartphone è errato. La crescita informatica delle nuove generazioni non va lasciata al caso. Dovrebbero essere la scuola, l’università, le politiche dei governi, ad aggiornarsi e capire bene l’attualità in cui le nuove generazioni si muovono, a proporre un cambiamento di rotta, un utilizzo consapevole dei mezzi tecnologici basato non solo sulla mera partecipazione social e sulla condivisione di futilità.