Oggi 4 settembre, a Monza Niki Lauda vivrà senza dubbio un’emozione particolare. Se non per le sue Mercedes (è CEO non esecutivo del team) padrone del campionato, certamente per un ricordo speciale ed estremamente personale: 40 anni fa Monza gli disse che la sua storia di pilota non era finita.
Quel giovedì 9 settembre fu un giorno che la F1 non avrebbe mai dimenticato. Niki si presentò al circuito e la prima sfida fu con i medici federali chiamati a verificarne l’idoneità medico-sportiva. Questa fu accordata, nonostante il pilota sanguinasse dalle ferite al volto ogni volta che si sfilava casco e sottocasco. Ma già sabato la Ferrari più veloce in qualifica fu la sua. E in gara, domenica 12 settembre, conquistò addirittura il quarto posto: primo Peterson (ironia del destino), poi l’altra Ferrari con Regazzoni e la Ligier di Laffite. Quindi lui. Sempre terribile, in quella maschera destinata -una volta cristallizzate le ferite – a diventare il suo marchio di fabbrica per i 40 anni successivi. Ma rinato. Quel titolo, per la cronaca, Lauda non riuscì a conquistarlo. Lo perse per un punto, proprio a vantaggio del temuto Hunt, al termine di una gara iniziata sotto un diluvio al circuito sotto il Monte Fuji, in Giappone, e srotolatasi con una serie di colpi di scena a sancire un finale di stagione il cui livello di thrilling non è mai più stato ripetuto.
Ma quella Monza 1976, per Lauda, fu il ritorno della fenice: rinato dalle sue ceneri, il pilota austriaco supererà quella delusione per conquistare nuovamente il Mondiale l’anno successivo, sempre con la Ferrari. Quindi la deludente parentesi Brabham; due anni lontano dalle corse e totalmente concentrato sulla sua compagnia aerea; il ritorno in pista nel 1982 e un nuovo Titolo nel 1984, questa volta volante della McLaren.