A fine luglio 1976, Lauda arriva al Nürburgring da campione del mondo in carica e nuovamente iridato in pectore. Dopo un inizio di stagione roboante, sempre con la Ferrari, il suo vantaggio in campionato appare incolmabile. Ma con quel circuito ha un conto in sospeso: non vi ha mai vinto, e non vuole sacrificarsi in una sfida contro la logica. Ha provato, anzi, a convincere i suoi colleghi che anche con tutto il suo mito il circuito tedesco è ormai anacronistico, il suo grado di pericolo è eccessivo. In una riunione con gli altri piloti, nell’inverno precedente, ha sollevato la mozione per non corrervi già quell’estate e preferire invece Hockenheim: tracciato anche più veloce, teatro di una morte drammatica e indimenticabile come quella del grande Jim Clark, ma comunque più moderno e sicuro. Soprattutto se si dovesse gareggiare con la pioggia. Mozione respinta con perdite. A combatterla è soprattutto James Hunt. Di due anni più giovane, biondo e bellissimo, il pilota della McLaren è l’unico che ha ancora l’ambizione di arrestare la cavalcata iridata del ferrarista. Il sabato, come per un presagio, la pole è sua. E la domenica, come per una maledizione, la foresta dell’Eifel si risveglia sotto la pioggia.Il resto è più che cronaca: è mito. Si parte in condizioni di grande variabilità e subito è necessario fermarsi ai box per passare dai pneumatici da bagnato a slick. Lauda torna in pista arretratissimo. Hunt, al comando, un fulmine. Ci si interrogherà per anni su quali sono le informazioni di cui Niki dispone. Di quale sia il livello della sua frustrazione, forse capace di spingerlo a osare più del lecito, lui che è un calcolatore impeccabile. Fatto sta che nello spazio di pochi minuti la Ferrari numero 1 perde il comando in una una lunga curva a sinistra in leggera discesa: l’impatto contro la montagna sulla destra, nel punto di circuito che si chiama Bergwerk, è violentissimo. La Ferrari rimbalza in mezzo alla pista e viene centrata da quella di un inseguitore, spezzandosi a metà e precipitando in un rogo. Lauda, immobilizzato dalle cinture di sicurezza, riesce a uscire dall’abitacolo soltanto grazie all’aiuto di alcuni piloti, fra i quali Arturio Merzario al quale tre anni prima aveva soffiato il posto a Maranello e che comunque si tuffa fra le fiamme, riesce a sbloccare le cinture e gli salva la vita.Il seguito è cronaca in diretta dall’inferno. Resta negli archivi un filmato in cui il ferrarista, sdraiato in barella, si guarda il braccio destra ustionato. Chiede se porta sul volto i segni del fuoco. Non sa che è così, ma che non sarà questo il suo problema maggiore. I gas della combustione, respirati per interminabili secondi prima e durante i soccorsi, gli hanno avvelenato i polmoni. I giorni successivi saranno un calvario fra coma, due estreme unzioni, un recupero quasi impossibile. La storia delle corse scrive così una delle sue pagine più feroci. Quel GP vinto da Hunt segna l’inizio della sua rimonta impossibile. Lauda, assente ai successivi GP di Austria e Olanda, rientrerà in pista miracolosamente cinque settimane dopo il suo dramma, a Monza. Dimostrerà di essere ancora un campione immenso, arrivando a vincere un nuovo Mondiale nel 1977, a lasciare polemicamente la Ferrari per la Brabham e quindi ad abbandonare la F1 disgustato dalla routine, a fondare una compagnia aerea con il suo nome e quindi a venderla alla Lufthansa, a tornare ancora una volta in F1 e laurearsi tri-campione del mondo proprio con quella McLaren che era stata il suo incubo nei giorni del dramma. Ma quel titolo 1976, quello praticamente inossidabile dopo il grande inizio di stagione costellato di vittorie, lo conquisterà James Hunt. E questo darà il via a una serie di conseguenze e che ha cambiato la storia delle corse. Fra queste, la fine della storia del Nürburgring come circuito di Formula 1. Vi si correrà ancora con competizioni di durata, e il pilota tedesco Stefan Bellof vi segnerà nel 1983 con la Porsche 956 l’incredibile record sul giro in 6.11.13: una follia! Ma i GP di Germania, a quel punto, sono già a Hockenheim. Dove nel 1977, peraltro, è proprio Lauda a vincere con la Ferrari.Fin qui il passato, il presente e il suo ruolo in Mercedes lo conosciamo bene e sappiamo che il suo non è solo un titolo, ma che la sua esperienza è stata ed è fondamentale per portare il team sul tetto del mondo. E oggi siamo qui a celebrare quel giorno drammatico quasi con gioia, perché Niki Lauda è qui, ha fatto tante cose, ci ha regalato momenti unici in pista e nella vita. Ricordi, racconti, incontri speciali, risate e battute.
Ma quello che resterà per sempre indelebile in me è la prima volta in cui lui e Merzario si sono riabbracciati nel paddock di Monza, dopo essersi presi a lungo le misure, perché nessuno dei due voleva fare il primo passo. E ricordo la frase che Arturio disse a Matthias, il figlio del Campione austriaco: “Pensa, se non fosse anche per me oggi tu non saresti qui“. Eh già, sarebbe stata molto diversa per tutti la vita. Quindi, caro Niki, buon anniversario, da un’amica (che ai tempi non era tua tifosa, lo sai…) davvero felice che tu ci sia e che è cresciuta ammirando la tua forza e il tuo coraggio. Tornare subito, nelle tue condizioni, mostrare le tue cicatrici, scegliere di rientrare ai box sotto quel diluvio senza temere giudizi, andare avanti, vincere, poi reinventarti è stato ed è un insegnamento. Senza contare tutto quello che la Formula 1 ti deve anche per quanto riguarda la sicurezza. Grazie, di cuore, a te e ovviamente ad Arturio! Eh già, oggi è proprio un giorno tremendamente da festeggiare…
Barbara Premoli