Non mi piacciono gli anniversari. Questo 29 dicembre meno che meno. Perché Michael Schumacher c’è ed è la prima persona che vedo ogni mattina da molti anni. Mamma una sua fan sfegata da sempre mi costrinse un giorno a fare quello che per me è un gesto contro natura: chiedergli un autografo, tutto per lei. Dal 1999 che sono in F1 e sono pochissime le foto mie con piloti, di autografo solo uno, il suo. Quindi ogni mattina è lui che mi dà il buongiorno quando preparo la colazione, perché mamma l’ha messo lì in bella vista dal mio ritorno da quel GP. Inutile rivangare quel giorno in cui all’inizio tutti abbiamo creduto fosse una vaccata. Chi non ha pensato: “Lui e la sua mania di correre, ma possibile una caduta così proprio lui che pure sugli sci dà la paga a tutti?”.
Poi la lunga assenza che è presenza per chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo e guardarlo dritto negli occhi, è dolore ma anche sorriso, perché Michael riesce ancora a farmi sorridere. Io che, arrivata a F1 Racing a inizio 1999, ho dovuto lavorare su me stessa perché passavo dalla passione al dover essere professionale, a scindere le due cose. E diciamolo una volta per tutte: io ero una tifosa sfegatata di Mika Hakkinen. Arriva il GP decisivo, in Giappone, e io mi invento la lunga notte a Maranello, per vivere il gran finale in mezzo al popolo rosso. Al traguardo, un gruppetto di deficienti, tra cui la sottoscritta, che saltavano dietro l’angolo… Poi una cosa sorprendente: nonostante la delusione, dal popolo ferrarista un applauso immenso, parole verso il loro idolo che da quel giorno ho voluto osservare in modo diverso. Lui mi ha fatto smettere di essere tifosa e mi ha portato su un altro piano, ad ammirare lui, la squadra, i tifosi.
Ogni conferenza stampa era l’occasione per scoprirne un pezzetto in più, soprattutto dell’uomo. perché sul campione era tutto chiaro. Io, che volevo osservare tutto con freddezza e distacco, quando ho pianto in circuito l’ho fatto per lui. A Monza 2000 in conferenza stampa. A Imola 2003 quando lo vidi partire per andare dalla mamma e soprattutto tornare, correre e vincere: io sotto quel podio a sentire fisicamente il suo dolore e la sua forza. A Monza 2006 quando trionfa e annuncia il ritiro, il divorzio dalla Ferrari. In Ungheria 2001 quando il 19 agosto vince il Titolo e io al telefono con mamma e papà per fargli vivere quel momento in diretta, intanto che facevo una doccia di champagne. Michael Schumacher ha la forza di pochi: ti smuove dentro sentimenti che non sai di avere. Non mi ha trasformata in una sua tifosa – dovevo sempre essere sopra le righe – ma mi ha fatto capire quanto si potesse imparare da lui come uomo, anche osservandolo parlare coi tecnici, con Jean Todt e poi giocare con Mick e Gina Maria che trotterellavano nei paddock.
Ma se c’è un giorno in cui quando ci penso rido ancora è quello in cui mi investì in monopattino. Non ricordo esattamente in quale GP. Io uscivo tra due motorhome con la testa immersa nel taccuino e… ragazzi, una sventola che sono volata a non so quanti metri. A terra, inizio a ridere, poi smetto quando lo vedo piegato sopra di me preoccupatissimo. Una raffica di domande su come stessi, io ridevo e gli dicevo benone, anche perché a chi capita di essere investita da Schumi? Per tutto il weekend tutti i suoi a venirmi a chiedere come stessi, lui voleva che facessi visite, radiografie, ma io stavo bene, nemmeno un graffio, ce ne volle a convincerlo. Rise quando gli dissi: “Ma ti rendi conto? Mi hai fatto un regalo, un giorno lo racconterò ai miei nipoti!”. Da allora tra noi è cambiato tutto: l’uomo Michael sapeva che di me si poteva fidare, perché ero stata me stessa, non ero più solo una giornalista. E da quel giorno io ebbi la certezza della sua umanità, che valeva molto più dei suoi Titoli. Per me è cambiato tutto e non è cambiato niente da quel 29 dicembre: lo ammiro e gli voglio bene, lui e la sua famiglia sono con me. Come voi, non posso fare niente, se non rispettarlo e continuare a prendere esempio da un combattente, che c’è e sa che siamo sempre con lui. Sorridenti e carichi di energia.
Barbara Premoli – foto di apertura di Filippo Di Mario