Il 13° Grand Prix Monaco Historique è occasione prestigiosa per celebrare decine e decine di gioielli della tecnologia dei decenni che furono, che hanno esaltato ed esaltano la tradizione e la mitologia dello sport automobilistico. Ma è anche una opportunità imperdibile per celebrare gli Uomini che hanno fatto davvero la storia di questo sport meraviglioso.
Una pietra miliare l’abbiamo incontrata in pitlane, poco prima della sessione di qualifica della serie A2, quella dedicata a Juan Manuel Fangio. Si tratta dell’immenso Modesto Menabue, oltre 43 anni di magie a Maranello, a far grande il Cavallino Rampante. “Sono qui per giocare”, attacca con un sorriso insospettabile per uno che ha sempre dato l’impressione di essere un po’ un burbero. “Con queste macchine ci si può ancora divertire, sia sotto l’aspetto del pilotaggio sia da quello di noi tecnici ai box. Ora sono praticamente radiocomandate dai box, non c’è più spazio per l’inventiva, né in pista, né in garage“. Il mitico responsabile motori in pista del Cavallino è qui per prendersi cura della meravigliosa Ferrari 246 di Alex Birkenstock, una vettura davvero emozionante, commovente per vita vissuta, allori raccolti, ma soprattutto per un rombo davvero sublime. “Adesso davvero è difficile capirci qualcosa anche nei regolamenti, sia sotto l’aspetto tecnico, che sotto l’aspetto sportivo. Mi sembrano scritti e gestiti da gente che non ha una esperienza di corse, che sappia davvero come funzionino le cose in pista e che possa quindi garantire regole adatte alle emozioni e alle tradizioni vere di questo sport.”
Modesto Menabue è qui per divertirsi, ma sembra che abbia voglia di parlare con nostalgia vera dei suoi bei tempi, con una passione cristallina, immutata da quando faceva volare davvero le monoposto di Maranello, ma anche con una certa preoccupazione riguardo alla piega che hanno preso le cose nell’ambito della moderna F1. “Guarda, guardale in pista questi gioielli, è puro divertimento, derapate sulle quattro ruote, cambiate manuali che senti quanto precise o meno. Li voglio vedere tra quindici giorni, i piloti di adesso con quelle specie di furgoni, tanto sono lunghe, come faranno a farceli stare in queste storiche stradine!”. Comincia davvero a scaldarsi, il caro Modesto. “Sai, ci si divertiva, ma non è certo che fosse una passeggiata neppure ai miei tempi, soprattutto a Maranello.”
Come soprattutto a Maranello? Sorride e continua: “ A Maranello abbiamo sempre fatto macchine splendide, ma sempre un po’ troppo complicate. Gli inglesi sono sempre stati Maestri di semplicità. Ti accorgerai tu stesso, guardando le meccaniche presenti qui a Monaco in questi tre giorni. A Maranello arrivavamo al punto di farci fare dei bulloni apposta per cui ci volevano delle chiavi apposta. Gli inglesi sono sempre stati molto più semplici, nel loro approccio alla tecnologia. Mi ricordo una volta, smontammo un Cosworth, con cinque chiavi avevamo i pistoni in mano!”.
Non gli chiedo cosa ne pensa delle power unit attuali, perché se ritiene le monoposto del Cavallino di qualche decennio fa troppo complicate, non oso immaginare i commenti sulle complicatissime, incomprensibili trinità motrici attuali. “Ma ti sembra normale a te che, dopo la gara, il direttore di gara vada a vedere se un pilota abbia ostacolato qualcun altro e gli commini una penalità solo per aver fatto quello che doveva fare, cioè il pilota da corsa? Ti sembra normale che si debba esaminare al microscopio se un pilota abbia oltrepassato una riga posta ai limiti della pista? Ma li vogliamo lasciar correre questi ragazzi? Vogliamo che ci emozionino come sanno fare o li vogliamo trrattare come bambini?”.
E’ un fiume in piena, Modesto Menabue. Si accalora, ce l’ha ancora nel centro del cuore il suo sport. Sta per proseguire il suo sfogo, ma arriva in pit lane la sua mitica Ferrari 246, con al volante la bravissima Claudia Hurtgen. E allora Modesto mi saluta “Ci vediamo dopo!”. Mi verrebbe voglia di abbracciarlo. Ma deve correre lì, da lei, dalla 246. Infatti eccolo lì, premuroso come sempre, scrutare la bellezza stordente di una monoposto gloriosa, alla ricerca di un particolare, di un dettaglio che possa essere sfuggito. Poi però lo guardo bene, se la sta mangiando con gli occhi, la sua bella Rossa, ne è ancora innamorato. Come tutti quelli qui intorno a lei. Venuti qui ad ascoltarla, quasi ad accarezzarla. A più tardi, Modesto. E buon lavoro. E mille, un milione di questi sogni, ancora, che la tua passione terrà sempre vivi per la gioia profonda di chi, come me, oggi qui, ascoltando la 246, si lascia scappare una lacrima…
Testo e foto di Giuseppe Magni