La verità è che i piloti fanno cose straordinarie. Mi scuso sin d’ora, nelle righe che seguono probabilmente salterò da un concetto all’altro, non vogliatemi male. La domenica è stata lunga e intensa. Un miracolo vuole che siamo qui a scrivere di un pilota tornato alla vita dopo che era finito all’inferno. Sì, lo sappiamo. Il miracolo ha a che fare con lo sviluppo della sicurezza di queste monoposto, ma fa piacere pensare che qualcuno lassù abbia pensato di guardare almeno la partenza del gran premio e deciso che tutto doveva continuare, e non finire in una palla di fuoco. Questo 2020 era già stato troppo pesante di suo. L’incidente di Grosjean in Bahrain ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Le nuove generazioni, che mai si erano dovute raffrontare con simili immagini, e quelli con più anni sulle spalle, che di incidenti brutti, fuoco e guard-rail divelti, ne hanno visti fin troppo purtroppo.
“Ayrton perché non molli tutto. Andiamo a pescare. Lascio anch’io ora qui”. Furono le parole di Sid Watkins, dottore della F1, rivolte ad Ayrton Senna dopo il drammatico crash di Ratzenberger il sabato del GP di Imola 94. “No, io devo continuare, non posso fermarmi”. Cosa e quali pensieri avesse Ayrton non lo sapremo mai. Sappiamo però cosa successe l’indomani. La F1, con il migliore che se ne andava in diretta TV, da quel giorno non fu più la stessa. Il processo di rendere sicure le monoposto (e il motorsport in generale) prende una piega netta e si velocizza negli attimi subito dopo che Ayrton piegava la testa nell’ultimo spasmo di vita dentro l’abitacolo, appena dopo l’impatto con il Tamburello. Arrivarono nuove misure di sicurezza. Ayrton non ci ha lasciato invano. Arriverà l’Hans, voluto da Sid Watkins, e poi l’Halo dopo che abbiamo dovuto salutare Bianchi. La FIA rincorre la sicurezza, ma le F1 vanno veloci. Le variabili sono troppe quando sfidi il tempo e la pista a 300km/h.
Anche dal terribile incidente di ieri sicuramente verranno tratte conclusioni e nuove linee guida. Per le vetture, perché abbiamo visto una scocca spezzata, un serbatoio e delle batterie per il recupero di energia trasformarsi in una palla di fuoco. Per le piste: quel guard-rail messo così li grida vendetta, o per quel commissario che ancora, nel 2020, attraversa la pista con l’estintore in mano davanti a Norris e ci riporta in mente attimi drammatici, Tom Pryce a Kyalami. Non va bene. In mezzo, anzi dentro le vetture, ci sono loro, i piloti. Che primo, ultimo, con la valigia o senza, restano degli atleti di prim’ordine. Lo abbiamo visto ieri. Sbatti a 53G. Ti infili dentro un guard-rail. Attorno a te brucia tutto. Sei all’inferno, trovi la forza di sfilarti le cinture, il poggiatesta e uscire. Lo abbiamo visto in passato, speriamo di non rivederlo più.
Chi ha qualche anno in più ha rivisto scene che sperava di non vedere mai più. Chi è più giovane forse, spero, si renda conto che la F1 è cosa seria. Non è simulazione. L’ho detto tante volte, magari sbagliando. Ho un vecchio cuore da corsa e forse non sono allineato e connesso con questa generazione social, quindi potrebbe essere colpa mia quello che vado a scrivere, ma troppo spesso ho la sensazione che virtuale e reale si mischino con facilità. Ora puoi correre contro questo o quel pilota online. Puoi aprire la pagina Instagram, Facebook o Twitter e insultarlo o prenderlo in giro. Puoi essere portato a pensare che quello che fanno sti ragazzi non sia poi così difficile. Invece no. E’ tutto maledettamente difficile. E’ tutto maledettamente pericoloso. E’ tutto maledettamente un balletto con la morte ogni volta che abbassi la visiera.
L’avevo scritto anche un paio di settimane fa: abbiamo bisogno di eroi. Spesso anche certi team radio che dovrebbero essere privati vengono messi in onda e sminuiscono quello che stanno facendo perché magari fraintesi. A volte ci si mettono i piloti stessi a farci storcere il naso con dichiarazioni del tutto contrapposte a seconda di come va o non va una gara. Ma la sostanza è che loro sono atleti incredibili. Che fanno una cosa che in pochissimi al mondo sanno fare. Ho letto dopo il botto di Grosjean qualcuno chiedersi se si doveva continuare o come potevano continuare a correre dopo aver visto quello che era successo. La risposta è semplice: SONO PILOTI. Chi si ricorda Brundle ad Adelaide nel 1996 cappottarsi alla partenza, con la macchina divisa in due, e poi correre a piedi verso il box a rimettersi alla guida del muletto per la ripartenza? SONO PILOTI. E sono sicuro che Grosjean, se potesse, si rimetterebbe già domani alla guida. Ieri lassù da qualche parte, Sid e Charlie sono sicuro hanno ricevuto una pacca sulle spalle. Good job. Ma non fermiamoci qui. La pesca può attendere.
Riccardo Turcato
The best video we’ve seen today?
THIS 🙂 👊#BahrainGP 🇧🇭 #F1 @RGrosjean pic.twitter.com/TbGblznMBv
— Formula 1 (@F1) November 29, 2020
A heart-stopping moment on Lap 1 in Bahrain
We are all incredibly grateful that @RGrosjean walked away from this incident#BahrainGP 🇧🇭 #F1 pic.twitter.com/6ZztuxOLhw
— Formula 1 (@F1) November 29, 2020