Ci sono giorni che non dovrebbero mai iniziare, quelli che ti tolgono un pezzo di cuore. Carlo Perelli, il mio Perelli, non c’è più. Il mio direttore a Motociclismo e a Motociclismo d’Epoca. Dieci anni insieme a imparare ogni giorno. Nipote del fondatore Gino Magnani, era entrato in redazione da ragazzino e, passo dopo passo, facendo tutta la gavetta e sempre con la massima umiltà, era diventato il grande Perelli e grazie a lui un giornale di moto era diventato “la portaerei” della Casa editrice.
Dopo che ho lasciato il nido, nel 1999, non ci siamo mai persi di vista e ogni volta che ci si incontrava era gioia pura. Ritrovare il maestro e il papà, quello che senza mai alzare la voce una volta, instradava noi giovani e ci insegnava il mestiere. Adesso mi passano davanti mille immagini. Nella vecchia redazione di Via Boccaccio e poi in via Gallarate. Le trasferte di sabato alla Pista Pirelli per fare le foto. Gli scontrini che si accumulavano e poi il casino di ricostruire insieme le note spese. La richiesta dei rullini. La selezione delle diapositive, che a centinaia finivano nel cestino. La chiusura durante un EICMA alla Litogramma, io e lui sugli sgabelli davanti al tavolo luminoso fino alla mia caduta secca di testa perché non avevo mangiato dal giorno prima, e allora via all’unico ristorante aperto in zona. Lui in cima alla scaletta per trovare l’inquadratura giusta. Il dito di Durand de la Penne. I mille giri come passeggera in moto. Lui dal dottor Cristina che cercava di salvarmi dall’ennesima lettera di richiamo (ne ho una collezione…): “Stavolta l’hai fatta grossa, ma tanto poi gli passa“. Io e lui davanti alla scrivania a fare il borderò col signor Piero che regolarmente ci cassava metà. La trasferta a Misano per una gara del motomondiale. Il carrello dei bolliti. L’unica mousse al cioccolato riservata a me. La sua firma, splendida ed elegante, e il rumore del pennarello mentre mi dedica uno dei tanti libri. Il nostro amato Lago Maggiore.
Io e Aldo Benardelli “vittime” prescelte per due servizi fotografici su Vespa e Lambretta, io in gonnellina leggera, golfino e foulard anni 50 in una giornata d’inverno con un freddo cane. “Perelli, abbiamo finito?”. “Un momento, ne faccio un’altra per essere sicuro“. Proprio pochi giorni fa, il ricordo su Facebook di quando ci eravamo incontrati a EICMA. Per me il cuore è sempre rimasto a Motociclismo ed era impossibile andare a un Salone senza passare dallo stand e chiedere di lui e vederlo arrivare, macchina fotografica regolarmente al collo. Il nostro abbraccio e i racconti. Lui sempre sul pezzo, sempre anima e vera colonna portante. Si parla tanto di anziani in questo periodo: i suoi 87 anni erano solo sulla carta d’identità, lui era sempre uguale, entusiasta e ottimista, umile e rassicurante. Fa niente se gli anni passavano, se nel frattempo “il Perellino”, il caro Alessandro, da ragazzino era diventato papà e lui nonno, se io ero tragicamente invecchiata. Lui sempre a chiedermi se mi fossi sposata o almeno fidanzata (“Ancora niente? O porca miseria, va’ che il tempo passa“) e come andasse il giornale e se fossi felice. “Però a me è sempre spiaciuto… se tornassi indietro te ne andresti ancora?”. “Perelli, per l’esperienza che mi sono fatta sì. Per il cuore no“. Oggi sono consapevole di quello che ho sempre saputo: io sono andata avanti, ma il cuore è sempre rimasto là, con i miei colleghi. Chiudo gli occhi e siamo tutti lì… Francesco Pelizzari, Alberto Pasi che arriva con la sigaretta dopo essere rimasto fermo nel sottopasso col Dingo, Roberto Ungaro con la spalla dolorante dopo l’ennesima prova in off-road, Marco Riccardi che non si capiva se andava a casa a dormire o aveva la tenda in redazione, Paolo Lorenzi, Maurizio Gissi, Luigi Bianchi, io. Altri sono venuti e andati, ma il punto fermo è sempre stato lui, “il mio Perelli”. Le devo tantissimo, direttore. E le voglio un gran bene. Mi mancherà ma non mi mancherà mai, perché sarà sempre parte della mia vita.
Barbara