Nel 1966 il premio Nobel per la pace non venne assegnato. E, parlando di motorsport, quello che si vide in pista a Le Mans di certo fu la guerra di tutte le guerre. Da una parte Ferrari. Lambrusco e tortellini. 160 dipendenti compreso l’autista del Drake. 604 milioni di lire di budget per un’intera stagione di Formula 1 ed endurance assieme. 600 vetture prodotte all’anno. Dall’altra parte Ford. Hamburger e patatine. 10 milioni di dollari investiti solo per cercare di vincere la 24 Ore di Le Mans. 600 vetture prodotte al giorno.
America contro Europa. In mezzo, un rifiuto. La scintilla che farà deflagrare una guerra sportiva che coinvolgerà le più belle auto da corsa mai progettate da abili ingegneri e i più abili piloti alla guida. 1963. La scintilla scocca agli inizi dell’anno. La Ford ha sempre più problemi a vendere le proprie auto. I gusti dei giovani americani stanno cambiando. Richiedono velocità e stile per le vetture che vorrebbero guidare. Lasciano comfort e sicurezza ai padri. La Ferrari invece era in crescita con più auto prodotte. Ma vi erano difficoltà nell’avere in cassa i giusti soldi da spendere per il motorsport.
Ecco che quindi il commendator Ferrari decise di cercare un partner che potesse aiutarlo economicamente per le auto stradali per poter poi re-investire i soldi guadagnati dalle vendite nelle corse. Ma con condizione unica quella di mantenere lui stesso il timone delle operazioni racing. L’approccio con Ford fu per Ferrari una cosa quasi naturale. I rapporti con il marchio americano erano buoni. Tanto che nel 1952 regalò al nipote di Henry Ford, che stimava e apprezzava, una barchetta 212 di colore nero.
Quel nipote era Henry Ford II, proprio colui che era ora in difficoltà a far breccia nel cuore dei giovani americani con le proprie vetture. Proprio colui che voleva rendere ancora più famoso il suo marchio anche nel vecchio continente. Il solo pensiero di poter acquisire il marchio Ferrari lo fece sognare a occhi aperti. Le Ferrari per gli americani erano simbolo di velocità e di bella vita tipica italiana come spesso ad Hollywood veniva rappresentato il nostro Bel Paese. Ferrari avrebbe concesso il marchio alla Ford a patto che a lui fosse rimasta ogni decisione sul reparto racing. Voleva decidere quanto investire. Quali campionati fare. Quali auto produrre. Lui non era un industriale ma un costruttore. Lui veniva dalle gare.
Gli americani si sentivano l’affare in pugno. Tanto che Lee Iacocca, CEO Ford, ci scherzava tranquillamente: “E’ come se un gruppo di mafiosi venisse qua in America a comprarsi i New York Yankees”. La richiesta di Ferrari era di 18 milioni di dollari, 10 a contratto redatto. Il capitale di Henry Ford era mezzo miliardo di dollari. All’orizzonte quindi non si vedevano problemi. Le auto stradali avrebbero dovuto portare il logo Ford-Ferrari, con Ford che aveva il 90% di peso politico e decisionale nella parte automotive. Il reparto racing invece avrebbe dovuto rimanere in mano per il 90% allo stesso Ferrari con le auto che avrebbero dovuto sfoggiare il logo Ferrari-Ford.
Ma un punto esclamativo con l’usuale penna dall’inchiostro viola di Enzo Ferrari segnò la fine dei sogni di gloria degli americani. Loro, che non avevano problemi di budget, nel contratto avevano messo un vincolo di spesa a Ferrari per la parte racing. Ebbene sì. Il Drake avrebbe dovuto domandare alla sede americana, con il cappello in mano, se poteva spendere più soldi o a quale campionato iscrivere le proprie vetture. Un affronto che sancì la fine di tutta la discussione. Gli uomini Ford, riuniti a Maranello per la firma del contratto, rimasero increduli. Ferrari si alzò e con il fidato braccio destro Franco Gozzi uscì e andò a mangiare. Erano le 10 di sera. Tornarono in America con un contratto. Che riportava un punto esclamativo viola e alcune sottolineature sulle parole che Ferrari ritenne ingloriose verso la sua figura di costruttore racing. E con un regalo. Il libro “Le mie gioie terribili” vergato dal Drake.
Aver comperato Ferrari, avrebbe voluto dire comprare Le Mans, dove le rosse di Maranello erano imbattibili. E, se ci immergiamo con la mentalità in quegli anni, Le Mans era la gara più importante al mondo, quella con più visibilità assoluta. Vincere Le Mans voleva poi dire vendere le auto stradali. La F1, allora, nel confronto, era ben poca cosa. Aver perso l’occasione di comprare la Ferrari scatenerà la reazione di Henry Ford II. Che dal 1964 in poi investirà ingenti capitali per poter battere la rossa in terra francese. Provando a rubare anche Mauro Forghieri al Commendatore. Arrivando perfino a dare un nome a una parte del tracciato francese… chicane Ford vi dice nulla?
E’ da questo rifiuto all’accordo di Enzo Ferrari, che coinvolse le due aziende per buona parte del 1963, che possiamo dire nacque la GT40. Un’auto che è un simbolo. Un gigante automobilistico contro una piccola azienda italiana. Ford riuscirà a sconfiggere la Ferrari nel 1966. Bruce McLaren e Chris Amon taglieranno per primi il traguardo di quella che fu la prima di 5 vittorie consecutive. Enzo Ferrari dal canto suo avrà sì perso Le Mans, ma ottenne altre due vittorie importanti. La prima: era tornato a essere osannato dalla stampa italiana di settore e non. Quella stampa che lo aveva attaccato per le morti di molti piloti definendolo una mamma che uccide i propri figli, gli era tornata vicina, in un slancio di patriottismo. La seconda: Fiat, tramite Gianni Agnelli, decise di investire sulla fabbrica di Maranello. E, secondo Mauro Forghieri, uomo conteso dai due marchi, fu proprio l’Avvocato che fece saltare sottobanco l’accordo che avrebbe cambiato per sempre non solo il motorsport, ma il mondo dell’automotive.
Riccardo Turcato