CAN-AM: nessuna limitazione della cilindrata. Nessun peso minimo. Unica regola: le vetture dovevano avere due portiere. “Pregavamo che in gara non piovesse”, diceva Dan Gurney. Nel weekend al Goodwood Festival of Speed, Carlos Sainz ha portato sullo strip d’asfalto inglese la McLaren M8D. Il mostro color papaya che Bruce McLaren, Denny Hulme e Dan Gurney, dopo la morte di Bruce, hanno portato in pista dal 1968 al 1971 nelle varie evoluzioni. Un mostro in alluminio e magnesio dotato di un V8 Chevrolet che, come si vede dal video con alla guida Carlos Sainz Jr, tutto era fuorché una macchina docile.
Serious fever levels. This is epic! 👏
Watch from all angles as @Carlossainz55 takes the awesome McLaren M8D up the @fosgoodwood hill. 👀👌 #McLarenFoS pic.twitter.com/7El90zlco7
— McLaren (@McLarenF1) July 6, 2019
Dan Gurney ricorda: “Quando la vidi per la prima volta a Goodwood, dopo che fui chiamato a sostituire l’amico Bruce McLaren morto pochi giorni prima, al suo passaggio il terreno tremava letteralmente. Mi chiedevo se avrei mai potuto gestirla. La vettura era dura da guidare e il calore nell’abitacolo era insopportabile. Le gare da 200 miglia erano molto difficili da affrontare e da metà gara in poi eri già sfinito. Il dashboard con gli strumenti mi ricordava una ghigliottina. Le gambe erano praticamente incastrate nella struttura in alluminio. I freni erano del tutto inefficaci per la potenza che la vettura scaricava a terra. A gomme fredde era ingovernabile, mentre quando si scaldavano era un attimo distruggerle. Diciamo che per i fotografi a bordo pista vederci domare queste vetture era un bello spettacolo”.
Ovviamente non siamo degli sprovveduti e sappiamo benissimo che nel mondo attuale è impossibile avere una serie così. Ma forse levare qualche controllo elettronico, pensare di riportare la figura del pilota più al centro dell’attenzione e non perdersi a parlare di consumi, gomme, sensori e regole da forum sarebbe necessario. A pochi giorni dal 50° anniversario dell’uomo sulla Luna, la CAN-AM con i suoi piloti, proprio come succedeva con astronauti e cosmonauti, era sinonimo di grande sfida, di uomini con le palle, rischio, un mondo in cui la parola fallimento non era contemplata.
Riccardo Turcato