C’è un posto in Canada che si chiama Berthierville e che ogni vero fan della Formula 1 dovrebbe visitare, a un’ora da Montreal, direzione Nord-Est sulla Autoroute 40 verso Trois-Rivières (un altro nome iconico nel motorsport canadese, ma questa è un’altra storia)… A pochi minuti in macchina dai confini della città di Montreal e sarete immersi in quello che la maggior parte dei visitatori del Canada non vede: chilometri infiniti di asfalto, punteggiati da piccole città e cartelli che indicano altri luoghi, con distanze generalmente misurate in centinaia.
Andando dai confini intimi del circuito del gran premio sull’Ile Notre Dame all’affollato ma splendido centro di Montreal, con i suoi edifici, viali e feste infinite legate al GP, è facile dimenticare quanto sia grande il Canada: la seconda città più grande al mondo sulla massa terrestre. Ma non ci vuole molto per arrivare a Berthierville – dove è nato Gilles Villeneuve – e decisamente meno per avere la misura del posto. C’è una sola strada principale, dove si trova il museo Villeneuve, circondato da un patchwork colorato di store e case tipicamente americani, con tanto di giardini e vialetti. È un luogo tranquillo abitato da persone gentili; i loro accenti spessi e impenetrabili come lo sciroppo d’acero che ricopre molte delle specialità culinarie locali.
Berthierville è nota per le temperature invernali che scendono al di sotto dei 30 gradi centigrade, motivo per cui Villeneuve – come molti piloti canadesi – iniziò la sua carriera sportiva con le motoslitte prima di tradurre quel feeling naturale per la velocità e le sdandate con le auto. Villeneuve si fece conoscere in Formula Atlantic, una serie abbastanza simile alla Indycar, grazie ad alcuni successi spettacolari negli anni 70. Da lì il passaggio alla Formula 1, è il resto è storia.
Ma è la storia di quei primi anni che è fedelmente narrata nel museo, aperto nel 1988, che è quello che merita una visita. Non è un museo in senso canonico: più una collezione di artefatti a caso raccolti in una piccola unità industriale (in effetti, un ex-ufficio postale) senza un ordine particolare. Ed è questè che dà fascino al luogo. Qui potete vedere la prima motoslitta di Gilles, oltre alla giacca oversize che si fede prestare dal suo manager quando salì sul podio dopo la prima vittoria, il GP del Canada 1978, e iniziò a nevicare. Ci sono anche altri oggetti, più personali: il suo primo contratto con la Ferrari, chef a sorridere perché sono solo pochi fogli scritti a macchina che delineano termini molto vaghi, la sua patente di guida per il Canada, una targa di una delle sue auto, i suoi sci preferiti, dei caschi, alcune pagelle scolastiche e dei libri.
Ovviamente ci sono anche delle macchine, ma non molte, per motivi di spazio e – di certo – anche di spesa. La sua vettura di Formula Atlantic è tornata a casa, così come la sua prima Formula Ford, e ce ne sono anche alcune appartenute a suo figlio Jacques: inclusa (cosa sorprendente) la sua Indy 500 vincente. Ma l’auto più grande era anche la preferita di Gilles: un’enorme Ford Bronco 4×4 color arancio brillante che lui usava per fare fuoristrada con gli amici attraversando le immense distese ventose del Quebec, lontano dai riflettori della Formula 1.
Quando Villeneuve si trasferì a Monaco (in una villa arroccata chiamata La Mascotte, sul confine est del Principato per essere il più vicino possibile alla natura), portò con sé la Bronco, ed era normale vederla percorrere la Corniche o, più probabile, assaltare le Alpi… Come tutti sanno, la storia di Gilles è quella di una vita non ordinaria, destinata a una conclusion tragica e prematura in un anonimo ospedale belga, diviso da un oceano dai cieli infiniti della sua vera casa. Ma ciò che rende quella vita così commovente, anche 37 anni dopo, è quanto un tempo fossero semplici, cari e ordinari quei luoghi di casa. Evidenziati oggi dai ricordi quotidiani degli inizi della sua vita e delle sue passioni; tutti raccolti con attenzione all’interno del piccolo ex-ufficio postale. Non si conosce davvero Villeneuve finché non si viene a Berthierville, ma non ce ne si rende conto finché non ci si è stati. Ed è scritto su quasi tutte le targhe del Quebec, a ricordare costantemente di tener viva la storia: Je me souviens.