Diamo un po’ di cifre: i 10% di tutte le riserve di petrolio del mondo è di proprietà di Abu Dhabi. A differenza della sorella Dubai, indipendente ormai dai profitti del petrolio dal 2011, Abu Dhabi avrà riserve di oro nero fino al 2080 (questo vi fa anche intuire in quanti anni ci sarà l’evoluzione dell’auto). C’è da pensare che quindi il GP di F1, a meno di sconvolgimenti politici estremi nella regione araba, resterà in calendario per ancora molto tempo. Domenica si svolgerà l’ultimo appuntamento del Mondiale e gli occhi di buona parte del mondo saranno sulla città del Golfo Persico.
Io voglio spezzare una lancia a favore di Yas Marina per alcuni, secondo me, buoni motivi. Leggo spesso commenti negativi sulla location e sull’utilità di andare a correre in questi luoghi. A marzo sono stato ad Abu Dhabi e ho visitato il circuito e il Ferrari World adiacente. Su quest’ultimo stendo un velo pietoso, un immenso cartellone pubblicitario vuoto di contenuti che fornisce solo la montagna russa come elemento di attrazione a chi paga il biglietto. Il circuito invece è un posto dove, lo dico e lo sottoscrivo, andrei molto volentieri a vedere un gran premio, fosse solo per le tribune moderne e tutto quello che lo circonda. Abu Dhabi non sarà Dubai. Infatti oltre a essere la capitale operativa degli Emirati, è anche dove vive il Re, quindi tanti eccessi qui non sono ben visti, ma lo scenario e l’organizzazione dovrebbero servire da esempio a certi organizzatori europei. Chi frequenta gli autodromi sa a cosa mi riferisco.
Si poteva fare un layout migliore? Può essere. Però è anche vero che non è così scontato come si sente dire spesso che con tutto quel deserto e quei soldi chissà cosa potevano fare. Infatti Abu Dhabi è una serie di isole ai limiti del deserto arabico. Inoltre, sarà sicuramente, e perché no, anche principalmente per i soldi che i locali possiedono (hanno perfino una supercar donata dal governo quando si sposano tra autoctoni), però la passione e l’interesse per i motori è vivo anche in quelle zone come qui da noi. Lo si vede dalle tribune la domenica del GP.
Già nel lontano 1981 si parlava di portare la F1 da quelle parti con una esibizione fatta a Dubai attorno all’Hotel Hyatt, nella zona di Deira. Tambay su Theodore e Watson su McLaren fecero rombare per la prima volta i cavalli delle F1 nel deserto, tra ben pochi palazzi. Niente a che vedere con la Dubai del presente ovviamente. Ci furono molte esibizioni motoristiche. La più famosa e a bordo di improvvisate Citroen CX. Tra i tanti, Moss, Phil Hill, Gurney, Salvadori, Bell, Mansell, Keke Rosberg, Marko, Brabham, ci fu una gara senza esclusione di colpi vinta dal nostro Bruno Giacomelli. Quella esibizione verrà ricordata anche perché durante dei giri di esibizione, Juan Manuel Fangio, allora 70enne e provato dal viaggio, fece un testacoda, si sentì male e fu ricoverato in ospedale per due settimane per un presunto infarto.
Dico tutto questo perché, può piacere o no, ma Yas Marina ad Abu Dhabi resta pur sempre un tracciato, una pista, un autodromo. A leggere e interpretare le ultime dichiarazioni di Liberty Media, sembra invece che gli autodromi facciano schifo. Luoghi preistorici, noiosi e poco attraenti. Notizia recente infatti è dell’ennesimo circuito cittadino in Vietnam e la volontà di portare la F1 in centro a Rio de Janeiro al posto di Interlagos. Non solo. A sentire il baffuto capo della F1, perfino Silverstone, Donington e Brands Hatch non sarebbero appetibili e con standard di sicurezza adeguati per la F1 in Inghilterra. Meglio sarebbe portare tutto nel centro di Londra tra uno Starbucks e il Big Ben.
Ecco, non vorrei che tra qualche anno ci trovassimo qua a rimpiangere perfino l’autodromo di Yas Marina scalzato da circuiti cittadini senza anima. Manco che la F1 fosse la Formula E da cui tanto vuole prendere le distanze ma che sembra invece ispirarsi per un pugno di spettatori in più. Il GP cittadino sembra essere la soluzione più semplice a parte dei mali che affliggono il grande Circus.
Riccardo Turcato