Non siamo delle verginelle e non giriamo con le fette di salame sugli occhi. Gli ordini di squadra sono sempre esistiti – anche quando erano proibiti – ed esisteranno sempre. Ma il GP di Russia lascia a tutti i protagonisti e gli appassionati una grande delusione. Certo, ad Abu Dhabi i 7 punti di differenza tra il primo e il secondo potrebbero fare la differenza tra la conquista o la perdita del Titolo, ma oggi fanno davvero male. Perché comunque vada a fine GP che il proprio pilota vinca o perda, che un pilota vinca o perda, la festa e l’emozione ci sono, il fatto stesso di vedere i sorrisi sul podio fa bene a noi poveri umani e Fantozzi che poi riprendiamo le nostre vite quotidiane, che si vada in fabbrica o si diriga un’azienda.
Oggi schiacciando quel pulsante e dicendo quel “Positions stay as they are” alla domanda di Bottas “How are we gonna finish the race?” e poi quel “Valtteri, this is Toto. It was a difficult day for you and a difficult day for us. Let’s discuss it after the race” Toto Wolff e la Mercedes hanno fatto male a tutti, ai tifosi, allo sport e ai loro piloti. Come fece male la Ferrari per tanti anni con Schumacher e Barrichello, con il culmine nel GP d’Austria 2002. Ha fatto bene Vettel a buttare la salvietta sulla telecamera nel retrobox: meglio stendere un velo e rispettare la privacy di due ragazzi che vogliono la stessa cosa, vincere per se stessi e per la squadra, ma senza imbarazzi. E non c’entra che Bottas sappia di essere il numero 2 e che sia pagato per fare quello che ha fatto. Lo prova l’imbarazzo di Hamilton, il fatto che nessuno abbia commentato la vittoria come sempre accade via team radio dopo il traguardo. Una roba davvero brutta, che non si cancella regalando un trofeo o facendo salire il compagno sul gradino più alto e che fa passare in secondo piano il resto, anche il 70° successo dell’inglese e il vantaggio su Vettel che sale a 50 punti. Un applauso al finlandese, autore di uno splendido weekend, e che è salito mal volentieri sul gradino col numero 1 e ha cortesemente rifiutato il trofeo che gli offriva il compagno di squadra. Per fortuna c’è ancora chi conosce il valore della parola “DIGNITÀ“.
Barbara Premoli