Tutti abbiamo ben presente la vettura Indycar 637 fatta preparare da Enzo Ferrari a Gustav Brunner per il 1986. Si diceva che Ferrari volesse provare a vincere Indianapolis, ma in realtà era tutta una mossa politica per ottenere un cambio regolamentare di motori in F1. Tu non mi cambi il regolamento? E io ti faccio paura costruendo una monoposto per la Formula Cart paventando un possibile addio al Circus iridato.
Quello che in molti non sanno, o che forse hanno rinchiuso nei cassetti della memoria, è che in quella metà degli anni 80, pronto a sbarcare nella Seria americana CART c’era anche l’altro team storico del mondo di F1, la Lotus.
Morto Colin Chapman da soli due anni, con i finanziamenti del businessman Ray Winkelmann, il team Lotus diretto da Peter Warr era intenzionato a partecipare al campionato CART e alla 500 Miglia di Indianapolis del 1985 per festeggiare i 20 anni dal successo di Jim Clark con un piano triennale. Il progetto, a differenza di quello di Ferrari, era quindi serio con basi tecniche solide e addirittura si parlava di Unser Jr come pilota.
Ducarouge nel 1984 stava lavorando alla vettura di F1 del 1985. E proprio la Lotus del 1985 era la relativa spina dorsale della vettura CART disegnata attorno al Cosworth turbo DXF Ford, che il team non fece fatica a coinvolgere nel progetto visti i trascorsi vincenti delle due Case in F1. Il progetto non fu affatto economico. Infatti la Lotus dovette sì partire dallo chassis della vettura F1 del 1985, ma richiese un lavoro di rinforzo di tutta la scocca in carbonio per via delle maggiori forze coinvolte in movimento e in caso di incidenti nei catini. Inoltre sospensioni e aerodinamica andavano riviste per le esigenze dei circuiti americani, senza contare che nella CART si poteva ancora usare l’effetto suolo e quindi le fiancate laterali e le masse radianti dovevano essere riviste rispetto a quelle usate in F1.
Il risultato fu un pacchetto vettura pulitissimo e compatto, migliore dei costruttori rivali Lola e March. A questo punto possiamo iniziare a capire cosa portò al naufragio del progetto Lotus CART. La CART di allora era un insieme di team che prendevano un telaio Lola o March, un cambio Hewland, le gomme Goodyear, il motore Cosworth ed assemblavano tutto in casa. Ora che la CART aveva visto cosa stava preparando la Lotus, nacquero due grandissimi problemi. Il primo, paradossale se pensiamo a come erano costruite le vetture in F1 ormai da 4 anni, era che la CART stessa non riteneva sicura la scocca in carbonio in caso di incidenti contro i muretti dei catini. A nulla valsero le riunioni tecniche con coinvolti anche Mario Andretti ed Emerson Fittipaldi. Inoltre le scocche in carbonio, sempre in caso di incidenti, non sarebbero state facilmente riparabili e utilizzabili una seconda volta, quindi questo portava a un sicuro innalzamento dei costi che non veniva visto affatto bene dai team americani.
E proprio qui risiede il problema centrale. I costi che non volevano essere sostenuti dagli altri team e costruttori portarono la CART a stilare un nuovo regolamento per il 1985 dichiarando illegali le vetture completamente in fibra di carbonio ma accettando solo vetture con una pelle esterna in alluminio (cosa che la Ferrari di Brunner aveva). Ci fu anche paura in seno alla CART di non sapere bene gestire lo sviluppo che poteva scaturire dall’arrivo della nuova tecnologia cosi ben conosciuta invece in F1. La Lotus quindi si trovò a rinunciare al progetto perché i costi per ripartire da zero sarebbero stati troppo alti e inoltre non ci sarebbe stato l’interscambio di tecnologia costruttiva tra la monoposto di F1 e quella CART che Ducarouge invece sperava.
Sono sicuro che la cosa che avrebbe fatto più ridere Colin Chapman fu però che la CART disse che la professionalità e l’unicità costruttiva del team Lotus avrebbe fatto morire i team garagisti/assemblatori americani della Serie… Ebbene sì. La Lotus che fu indicata assieme ad altri team inglesi proprio da Ferrari come team garagista, vide negarsi un progetto ambizioso perché divenuta troppo professionale. A noi rimarrà per sempre la curiosità di sapere cosa avrebbe potuto fare quella vettura che ancora ai giorni nostri viene esposta pochissimo dal Classic Team Lotus ma resta, forse, una delle più belle monoposto mai costruite dalla Casa di Norfolk e che non fu nemmeno mai messa in moto.
Riccardo Turcato