Il celebratissimo cinquantenario dell’Autostrada del Sole ha messo un poco in ombra i 90 anni della prima autostrada del mondo, la Milano-Laghi, che cadono anch’essi nel 2014. Quest’opera, imitata poi ovunque in tutti i continenti, realizzava l’idea di un’arteria (appropriata l’omonimia col sistema sanguigno del corpo) riservata al “trasporto su gomma” (escluse le “due ruote”), senza incroci a livello e prevalentemente rettilinea. Tra i primati che tuttora la distinguono, e anche l’unico di cui sarebbe opportuno disfarsene, c’è quello del pedaggio, ove si richiedono attualmente circa 4 euro per poco più di 20 chilometri. Comunque sia, l’idea fu soprattutto quella di realizzare una via di trasporto veloce, riservata a certi veicoli, abbastanza prossima ai centri urbani ed industriali, ma senza attraversarli.
La geomorfologia dei terreni interessati comportò, al più, qualche livellamento e qualche ponte di non difficile esecuzione e dette luogo, secondo l’usanza del periodo, a una esibizione del capo del Governo, Benito Mussolini, per l’occasione trasformatosi in picconatore e badilante; oggi è più facile che i politici scendano in campo per una penosa partita al pallone. Un discorso e una progettazione ben diversi per l’Autostrada del Sole, che praticamente fu concepita in analogia con le linee ferroviarie e perciò con abbondanza di gallerie e sovrappassi; tanto è vero che spesso i due sistemi di trasporto corrono in parallelo, come capita di osservare dai finestrini.
Mi piace ricordare di avere avuto come professore al Politecnico di Milano l’ing. Francesco Aimone Jelmoni, il progettista (detto anche il “papà”) dell’Autostrada del Sole che soleva dire: “L’autostrada è progresso, la ferrovia è civiltà”. Detto da lui va bene, visto che ne progettò di entrambe. Senza fare l’elenco e le valutazioni dei vantaggi della nuova via di comunicazione è spontaneo osservare la palese contraddizione tra il rigore progettuale e le forzature politiche che ne condizionarono il percorso. Da un lato, tanto per citare una fase dello studio, l’impegno a compensare il terreno da asportare negli scavi e quello da riportare nei terrapieni, senza creare inutili e antiestetiche cave e discariche. Dall’altro la volontà di favorire certi collegi elettorali o certi inconfessabili interessi, anche a costo di aumentare a dismisura i costi e la lunghezza dei percorsi. Ma “così va il mondo, o meglio, così andava nel secolo scorso”, direbbe oggi il Manzoni, visto che si tratta di opere realizzate nel ventesimo secolo; anche se, almeno per il tratto terminale della “famigerata” Salerno-Reggio Calabria che dell’Autostrada del Sole è parte integrante, si è ancora in ballo né è dato sapere quando sarà ultimata.
Non sembri comunque che l’idea e la necessità di percorsi diritti, con poche pendenze, fossero sconosciute agli antichi e in particolare ai Romani. Forse nel fare le strade si trattennero dal renderle troppo facilmente percorribili perché se da un lato servivano per farci passare le legioni (e i commerci), dall’altro se ne potevano approfittare i nemici, e in particolare gli invasori. Però in fatto di acquedotti i Romani dimostrarono una perizia che ha dello stupefacente. Dove questi manufatti sono rimasti in piedi (alcuni funzionano ancora), in Italia ma anche in tutto l’Impero, dalla Spagna alla Gallia a Costantinopoli, non si può fare a meno di osservarne le analogie con le costruzioni ferroviarie e autostradali. Pendenze lievi, costanti, poche curve e ad ampio raggio, con gallerie e archi a sostenere le condutture, lunghezze di centinaia di chilometri. Gli acquedotti si basavano sulle leggi forzatamente empiriche della discesa dell’acqua per gravità che sono rimaste nei testi di Vitruvio (“De Architectura”) e di Frontino (“De Aquaeductu”) e avevano una grande necessità di manutenzione e vigilanza. Anche questa a ben vedere è un’analogia con le Autostrade che in realtà hanno molti punti di vulnerabilità, pure se oggi invece delle sentinelle e dei segnali ottici ci sono le videocamere.
Carlo Sidoli – www.crisalidepress.it