La storia della Formula 1 negli Stati Uniti può essere paragonata a un giro sulle montagne russe: un su e giù con picchi di straordinario interesse e rovinose discese nell’oblio, a conferma del rapporto del tutto particolare che lega il pubblico americano con la massima competizione automobilistica, almeno secondo gli occhi di noi europei. Fino al 1960 la 500 Miglia di Indianapolis, una delle tre corse universalmente più note al grande pubblico assieme alla 24 Ore di Le Mans e al GP di Monaco, faceva parte del calendario iridato ma già l’anno precedente si era svolta a Sebring la prima edizione di un GP degli USA. In totale sono state 62 le corse valide per il Campionato del Mondo disputate negli States, in 11 località diverse. La Scuderia ha conquistato 12 successi in quello che è ormai da tanto tempo il suo mercato principale per le vetture stradali, tutti però concentrati in due periodi storici. Il primo prese il via nel 1975: l’onore di portare un ferrarista sul gradino più alto del podio negli States toccò a Niki Lauda, vincitore a Watkins Glen della gara conclusiva di quella fantastica stagione. L’anno successivo fu Clay Regazzoni a trionfare, stavolta sul circuito cittadino di Long Beach – le due località ospitarono per qualche stagione una gara nella parte iniziale e una in quella finale del campionato – in quella che fu la prima delle sette doppiette del Cavallino negli USA ma ancor più magico fu il biennio 1978-1979 quando la Ferrari vinse tutte e quattro le corse disputate oltreoceano: il primo anno con Carlos Reutemann, il secondo con Gilles Villeneuve.
Chiuso quell’incredibile ciclo degli anni 70 si dovettero attendere ben 21 anni prima di rivedere una Rossa rivincere un GP degli USA. Dal 1980 al 1991, quando la corsa si svolse in ben cinque città diverse – Long Beach, Las Vegas, Detroit, Dallas e Phoenix – mai una Ferrari riuscì ad ottenere il successo, arrivando al secondo posto solamente tre volte su 17 GP. Dal 1992 al 1999 la Formula 1 per la prima volta non ebbe nessuna gara negli USA e si dovette attendere il 2000 e il ritorno a Indianapolis (sia pur su un tracciato che comprendeva solamente una curva e un rettilineo dell’ovale su cui si corre la 500 Miglia) per rivedere una Ferrari vincente. In una delle culle dell’automobilismo sportivo, non soltanto americano, la Scuderia vinse ben 6 volte su 8, cinque con Michael Schumacher e una con Rubens Barrichello. Ognuno di questi successi è entrato in qualche modo nella storia. Il primo e il terzo (2000 e 2003) perché furono probabilmente decisivi per la conquista del titolo iridato, il secondo (2002) perché fu caratterizzato da un rocambolesco arrivo in parata con Rubens davanti della classica incollatura sul suo compagno di squadra, il quarto (2004) perché fu il frutto di una superiorità schiacciante, il quinto (2005) perché arrivò al termine di un weekend caratterizzato dalla saga delle gomme e con un campo di partecipanti ridotto praticamente all’osso (solo le sei vetture gommate Bridgestone – Ferrari, Jordan e Minardi – presero il via: tutti i piloti con le Michelin si ritirarono alla fine del giro di formazione), il sesto (2006) perché dette il via alla fantastica rimonta di Michael su un Alonso allora alla Renault, sfumata sul più bello a Suzuka.
Dal 2008 al 2011 ci fu un secondo break nella continuità della storia della Formula 1 a stelle e strisce. Solo lo scorso si è riusciti a riportare lo sport negli USA, in un’inedita quanto spettacolare sede, il Circuit of the Americas di Austin. La Scuderia è riuscita a salire sul podio anche nella seconda gara texana – la prima si corse a Dallas nel 1984, quando René Arnoux si classificò al secondo posto – grazie a Fernando Alonso, terzo proprio davanti al compagno di squadra Felipe Massa. Quello di Austin fu il piazzamento sul podio numero 32 nella storia della Ferrari negli USA: alle 12 vittorie vanno infatti aggiunti 5 secondi e 7 terzi posti. L’obiettivo per questo fine settimana è dire 33 ma sarebbe ancor più bello e sorprendente… fare 13!