Come anticipato ieri, eccoci alla seconda (e, dai vostri riscontri, attesissima) puntata della telenovela “Nico e la prima chicane”. Continuando sulla linea “fatti e non parole” abbiamo scelto di dare la parola al collega e tecnico Paolo Filisetti, opinionista del programma Warm Up (in onda questa sera, come ogni martedì, alle 21.30 su Dinamica Channel, canale 249 del digitale terrestre e in cui si parlerà anche di questo argomento) che, sulla base della sua esperienza, trae delle conclusioni su quello che potremmo ormai definire “l’affaire Mercedes”, esaminando i dati, ovvero velocità massime e sullo speed trap (vi alleghiamo le classifiche ufficiali FIA relative a velocità massime, speed trap, giri veloci e history chart) di Nico Rosberg e Lewis Hamilton durante la gara. Insomma, errori o azioni pianificate quei due tagli della prima chicane? Ringraziando il collega e amico Paolo Filisetti (cui facciamo anche gli auguri per il suo compleanno!), buona lettura e a prestissimo per la terza e conclusiva puntata della telenovela…
Barbara Premoli
Premessa: non amiamo il giornalismo sensazionalistico e gossipparo, men che meno quando queste due derive professionali si applicano a tematiche tecniche. In sostanza, commentiamo i fatti, analizziamo e poi traiamo conclusioni, spesso condivisibili, talvolta no, ma ciò fa parte dei rischi del mestiere. Questa premessa ci è parsa doverosa, in quanto sicuramente il tema di questo commento tecnico potrà suscitare il disappunto di alcuni, che giudicheranno i commenti come strumentali alla ricerca di titoli sensazionalistici. Ebbene, non è così.
Quanto avvenuto domenica a Monza, cioè il doppio errore di Nico Rosberg alla frenata della prima variante, ha subito suscitato la nostra perplessità in merito alla sua dinamica, portandoci a cercare verifiche, conferme, o anche no, all’impressione avuta di primo acchito, cioè che si trattasse di due manovre intenzionali e non di un doppio errore. Osservando infatti la tabella delle velocità massime, soprattutto della speed trap, abbiamo notato come la velocità massima di Nico, nel punto della staccata, fosse di circa 23 km/h inferiore a quella di Hamilton, mantenendo in tutti i giri un differenziale velocistico grossomodo di questa entità. I due episodi, inoltre, non sono stati causati da un bloccaggio delle ruote anteriori, bensì sono state vere e proprie perdite del punto di frenata. Insomma, si potrebbe dire che Nico, messo sotto pressione da Hamilton, abbia mancato per ben due volte consecutive, a distanza di 20 giri tra i due episodi, il punto di staccata nella medesima curva, ma giungendovi a una velocità molto inferiore rispetto al suo compagno di squadra.
Ora, se vogliamo anche notare come, in altre occasioni di errori magari meno plateali, Nico avesse poi reagito con estrema aggressività, di fatto aggredendo i cordoli, possiamo notare anzi, che mentre Hamilton lo sfilava alla prima variante, i suoi tempi intermedi nei giri successivi non fossero migliori in nessun settore rispetto ai giri prima dell’errore. Poveretto, come se una forma di rassegnazione lo avesse improvvisamente colto! Peccato che tale analisi risulta evidente anche tra il 9° e il 29° giro, cioè nell’intervallo tra i due errori. Intervallo in cui il pilota tedesco avrebbe dovuto, nella norma, cercare di recuperare quanto perso nel primo errore, ma ciò non è accaduto. Anzi, c’è stata una progressiva perdita di terreno, quasi infinitesimale in ogni settore rispetto al compagno di squadra, che peraltro doveva comunque recuperare il terreno perso in una partenza tutt’altro che brillante, per problemi di calibrazione della frizione nel giro di formazione.
Quanto descritto, ci ha portati a concludere che i due errori di Rosberg non siano stati tali, bensì manovre intenzionali, per consentire ad Hamilton di superarlo, senza lasciargli strada in modo plateale. Perché? Beh, il recupero di serenità in un team, solo al comando ma con lo spettro per ora lontano ma comunque reale di Ricciardo sempre pronto ad approfittare della situazione, ha un valore inestimabile. Certo, da Singapore il coltello ritornerà tra i denti di entrambi i piloti Mercedes, senza esclusione di colpi, ma l’aver imposto il “bene” del team come valore assoluto da rispettare è una garanzia per entrambi i contendenti.
Avere un team debole non serve a nessun pilota. Una squadra che invece richiede il rispetto di un codice comportamentale interno può decisamente far cancellare dalla mente di colui che si sentiva più danneggiato dai fatti precedenti l’idea di favoritismi nei confronti del suo compagno di squadra. La gestione di due piloti competitivi è quanto di più complesso esista in F1 e il passato ce ne ha dato molteplici dimostrazioni. Mercedes confidava sino a Spa nella maturità dei suoi piloti, ma ha dovuto ricredersi e correre ai ripari. Anche questo fa parte della Formula 1, sebbene ovviamente non ci piaccia. Ma forse anche noi avremmo agito allo stesso modo, nei panni di Toto Wolff, Niki Lauda e compagni.
Paolo Filisetti