La F1 ha proibito ai pioti di fare commenti dopo l’attacco con missili e droni alla raffineria Aramco durante le prove libere del GP dell’Arabia Saudita. La seconda sessione è stata ritardata dopo che Max Verstappen ha notato odore di bruciato nel suo abitacolo, dovuto all’esplosione della raffineria a meno di 20 km dal circuito. Si sono succeduti una serie di incontri tra F1, FIA, team, piloti, autorità del governo locale, proseguiti fino a notte fonda. Fino al comunicato ufficiale in cui si dà il via libera alla prosecuzione del weekend, come da programma. Ma questa è solo parte della storia, dato che i meeting sono stati parecchi e sembrava che i piloti fossero pronti a boicottare la gara. Il giornale Iltalehti ha riportato da Jeddah: “Stefano Domenicali si è accertato che a Hamilton non fosse permesso presentarsi davanti ai microfoni“. Proibizione estesa a tutti i piloti, con le interviste post-sessione cancellate. Hanno invece parlato diversi team boss che, come il CEO della F1, hanno ribadito che la situazione era sicura: “Mi sento sicuro“, ha detto il boss Williams Jost Capito a Sky Deutschland. “Se così non fosse, non lo sarei per tutto il team, perché sono responsabile di tutti loro. Non c’è stata discrepanza tra piloti e team. Penso sia giusto correre qui questo weekend perché siamo tutti qui. Se non fosse giusto, avremmo dovuto discuterne prima“. L’inviata di Viaplay Mervi Kallio concorda: “Se devi pensare se correre o no dopo il lancio di un missile, e il mantra è la sicurezza al primo posto e dici che la situazione è completamente sicura, non penso ci sia altro di cui discutere“. Ilta Sanomat ha aggiunto: “La F1 ha ricevuto un avviso da brividi sulla sua negligenza, ma come sempre l’esistenza del problema non è stata neppure considerata“.
Perché del rischio di attentati si sapeva da prima del Bahrain, al punto che nei giorni scorsi non era stato escluso un secondo GP a Sakhir, proprio per evitare rischi. Quello che non capiamo è come Lewis Hamilton – sempre in prima linea per i diritti umani – abbia potuto piegarsi alla situazione e accettare di correre, ma anche di non poter parlare. Uno che nei giorni scorsi aveva detto quanto riportato da Sky Sports F1 e che leggete qui sotto. Ieri poteva fare qualcosa, lanciare un segnale forte. Perché non l’abbia fatto forse un giorno lo sapremo. Se come è stato riportato a nessuno sarebbe stato permesso lasciare il Paese prima di domenica, se ne stava tranquillo in hotel. A casa nostra, in un Paese democratico, questo modo di fare si chiama sequestro di persona. E se qualcuno crede ancora che la F1 sia uno sport è un illuso. Già riempirsi la bocca di discorsi su parità, diritti e correre in Paesi del genere solo per soldi è assurdo. Ma arrivare al punto di mettersi sullo stesso piano, privando i singoli della libertà è delirante. Chissà cosa avrebbe fatto Jean Todt al posto del nuovo presidente FIA…
Barbara Premoli