Dopo essere stati lo scorso anno alla nostra prima 24 Ore di Le Mans abbiamo compreso il perché questa non sia una gara qualunque ma LA GARA. Quest’anno,
a malincuore, non ci siamo potuti andare, per la concomitanza con il GP d’Europa e, purtroppo, il dono dell’ubiquità ancora non l’abbiamo… Ma l’abbiamo vissuta come quella del 2015, con la stessa intensità, con la diretta dei colleghi di Eurosport (cui va il nostro grazie per la professionalità, la carica, l’entusiasmo, la preparazione), anche durante la lunga notte. Fino alla fine. E, a distanza di ore, siamo ancora sotto choc. E’ una gara, dirà chi non l’ha mai seguita tantomeno dal vivo… No, non è semplicemente una gara.
Senza voler fare confronti assurdi con la Formula 1, con filosofie diverse alla base (e il “videogame di Baku” subito dopo ha sottolineato ancor più impietosamente le differenze), qui uomini e macchine sono alla prova come non mai. E la gara è solo il momento clou di almeno un anno di lavoro di squadra.
La cronaca dice di una partenza dietro la safety car, per un’ora (anche se dopo 10 minuti i piloti si lamentavano del perché non uscisse, ma nessuno ci toglie dalla testa che fosse tutto abilmente calcolato per far partire effettivamente la gara al termine delle qualifiche della F1 a Baku…). Le due Porsche in prima fila scavalcate subito dalla Toyota TS050 #5. Che lì è rimasta per 23 ore e 55 minuti. A 10 minuti dalla bandiera a scacchi aveva 1.24s sulla Porsche 919 Hybrid #2, poi d’improvviso abbiamo sentito Nakajima dire via radio quel “no power“, l’abbiamo visto rallentare, fermarsi, poi cercare di passare la linea del traguardo. Intanto la Porsche di Jani prendeva il comando, andando a vincere con Dumas e Lieb.
Nakajima si è fermato inizialmente dopo il traguardo, poi ha completato l’ultimo giro in 11.53s, chiudendo secondo. Ma poco dopo la macchina che divideva con Buemi e Davidson è scomparsa dalle classifiche, perché il giro era stato troppo lento per poter essere valido per la classifica. Beffa che si è aggiunta al dramma. E che ha promosso la Toyota #6 di Conway, Sarrazin e Kobayashi al 2° posto e l’Audi #8 di Di Grassi, Duval e Jarvis al 3°, permettendo alla Casa di Ingolstadt di mantenere il record di essere sempre arrivata a podio dal suo debutto a Le Mans nel 1999.
Negli archivi di questa 24 Ore resteranno la vittoria della Signatech Alpine di Lapierre, Richelmi e Menezes in LMP2. E quella della Ford (che ha portato a Le Mans quattro macchine) nella classe GTE al suo ritorno a Le Mans, così come quella della Ferrari 458 #62 della Scuderia Corsa di Sweedler, Bell e Segal nella GTE Am.
Negli occhi degli appassionati resteranno il podio unico di Le Mans, l’invasione (263.500 spettator) sul rettilineo immenso (sembra normale ma non lo è, ve lo assicuriamo), quei trofei unici sollevati, le corone di alloro, tutto come da tradizione, da sempre. Ma nel cuore nessuno cancellerà mai quegli ultimi 5 minuti, da quel “no power” in poi.
Le telecamere di Eurosport hanno catturato immagini dai box che sarà impossibile dimenticare: lo schermo sdoppiato, da una parte gli uomini Porsche, dall’altra quelli Toyota. Sgomento, incredulità, stupore in comune per quello che stava accadendo in pista. Loro come noi non potevano crederci. In quei minuti è sparito il tifo e abbiamo spinto tutti perché la #5 riuscisse ad andare. Non perché fossimo pro o contro qualcuno, ma perché sarebbe stato troppo crudele.
Perdonateci un racconto personale, ma come ho scritto in un post a mio fratello, “tu non sei malato di corse come me, ma conosci i giapponesi perché ci lavori. Oggi ho assistito a un dramma e a una grande lezione di vita. Guardando questi volti in diretta e ancora adesso nella replica, emerge tutta la dignità e la tradizione di un popolo. Dentro spaccati. Ma composti. Statue. Come l’esercito dei guerrieri di terracotta. 23 ore e 57 minuti al comando e poi “no power” e il cuore si ferma. Un anno di lavoro di squadra. La delusione di fronte al mondo. Una gara che è come la vita: imprevedibile. Ma la dignità che prevale su tutto“.
Dignità che si legge anche nelle parole di Toshio Sato, Team President: “Sono incredibilmente orgoglioso del nostro lavoro di squadra, non solo oggi ma da Le Mans 2015. Grazie allo staff di Higashi-Fuji e Colonia, e al nostro partner Oreca. Il modo in cui abbiamo risposto al dolore della delusione dello scorso anno, sviluppando un nuovo telaio e un nuovo motore in pochissimo tempo è stato impressionante e le prestazioni della TS050 HYBRID forti. Abbiamo lavorato come un’unica squadra e preso parte a un’incredibile 24 Ore di Le Mans. Congratulazioni a Porsche per la vittoria. Non ho parole per descrivere le nostre emozioni. E’ semplicemente da infarto, ma torneremo più forti e più determinati a vincere“.
Resteranno gli occhi lucidi del Team Manager e partner di Toyota Motorsport GmbH Hugues de Chaunac, Nakajima distrutto che deve essere sorretto, Mark Webber, come paralizzato, con negli occhi la stessa consapevolezza del dramma sportivo, e che sparisce quando il box Porsche esplode. Ma soprattutto le parole di un altro sportivo doc, Alex Wurz: “You don’t win Le Mans. Le Mans let’s you win“. Ovvero “Non sei tu che vinci Le Mans. E’ Le Mans che ti lascia vincere“.
Congratulazioni a Porsche per la 18° vittoria; ad Audi, che non ha mancato di ringraziare gli avversari per il podio ereditato. E grazie agli uomini Toyota, per le loro 23 ore e 55 minuti al comando e perché oggi chi ama le corse si è innamorato ancora di più di Le Mans, bella, difficile, entusiasmante, crudele, imprevedibile, dove non puoi mai dare niente per scontato o mollare fino alla bandiera a scacchi. Esattamente come la vita.
Barbara Premoli