Mi è capitato ieri di scrivere un aneddoto al riguardo di Nigel Mansell su Twitter e di ricevere una risposta da un altro appassionato che mi ha fatto pensare le righe che seguiranno. Spesso la storia ha una seconda faccia della medaglia. Non è solo quello che vediamo in TV o da una tribuna. Nel caso dell’aneddoto social, scrivevo che Mansell ha corso per tutto il 1992 con il tallone rotto e a fine gara era stremato, piangeva e si lamentava per quello. Chi mi ha risposto, mi ha ringraziato perché ha capito solo ora dopo tanti anni, quando era piccolo e guardava la F1 in TV col padre, cosa portava Mansell a comportarsi così. Facciamo un balzo in avanti di un bel po’ di anni e andiamo al 2010.
Sono fortunato. Posso assistere dal vivo alla mia seconda 24 Ore di Le Mans. In gara c’è tra i nomi più attesi proprio Nigel Mansell, che corre coi propri figli a bordo di una Ginetta Zytek, in LMP1. Non ha possibilità di lottare per la vittoria finale, ma Mansell è sempre Mansell. Le Mans è sempre Le Mans e affrontare una 24 Ore a 56 anni è sempre una bella sfida. Colin Chapman a inizio carriera gli aveva fatto firmare un contratto con ben scritto che non poteva disputare la 24 Ore per motivi di sicurezza.
Io avevo sempre e solo visto Nigel correre in TV, mai dal vero. Quindi ero molto contento di poterlo osservare sul tracciato francese. L’attesa era tanta. La solita moltitudine di fans inglesi che ogni anni invade la cittadina francese, era particolarmente ancor più viva e festosa grazie al Leone. i baffi, veri, o posticci per l’occasione, spuntavano un poco ovunque. Ho potuto farmi firmare la bandiera italiana da Mansell anche durante la parata del venerdì.
Domenica. Pronti via, la Ginetta del Beechdean Motorsport, nei bellissimi colori della Union Jack e il red 5 in bella vista, vede proprio Nigel impegnato alla partenza lanciata. Io, in tribuna centrale sopra i box, provo a fotografarlo nell’orgia di rumori, colori e vetture dei primi giri ma mi ritrovo con una foto sfuocata.
Poco male, ho 24 ore di tempo davanti. Invece al 17° minuto di gara, i maxi-schermi del tracciato mostrano la Ginetta di Nigel ferma a Mulsanne. Si vede il posteriore. All’inizio non si capisce bene. Poi esce la bandiera gialla. Mansell non si muove e arrivano i soccorsi.
Scende il silenzio sulle tribune della Sarthe. Il silenzio in autodromo fa sempre paura. Io e il mio amico con cui ero alla gara, ci guardiamo e un brivido di paura ci scorre giù per la schiena quando nel reply vediamo la barchetta di Nigel nella fase finale dell’incidente andare contro le barriere senza controllo. Poi lo estraggono dall’abitacolo. Radio Le Mans annuncia che è scoppiata una gomma in rettilineo e la vettura ha sbattuto frontalmente a Mulsanne a 200 miglia all’ora per poi ritornare a centro pista, e finire la corsa contro il guard rail. Nelle ore successive arriva la notizia che Mansell sta bene per il sollievo di tutti.
Altro balzo in avanti. Ho tra le mani l’autobiografia di Nigel Mansell, Stay on track. Leggo il capitolo di Le Mans e scopro l’altra faccia delle medaglia. Nigel dopo l’incidente dentro l’abitacolo non riesce a muovere gambe e braccia. Non vede bene, non ricorda niente. Nemmeno chi sono la moglie e i figli quando torna ai box. Mansell aveva già subìto diversi traumi cranici in carriera. Quest’ultimo è stato particolarmente grave. La sua carriera si ferma contro quel guard-rail di Mulsanne. Vola a casa con un aereo privato, ma a bassa quota, seguito da un dottore, e a casa passerà molto tempo in una camera con le finestre tutte chiuse per recuperare dal trauma cranico.
“Il mio corpo sembrava essere a posto, invece il cervello era disconnesso. Non comunicavano. La cosa peggiorò quando non riuscii più a parlare. Le parole uscivano per conto loro. Io pensavo di dire una frase corretta ma chi mi ascoltava non capiva nulla. Per parlare dovevo concentrarmi così tanto da stare male. Decisi di rinchiudermi in casa con la famiglia. Passavo sempre più ore nella mia stanza buia, non uscivo più. Ci vollero settimane prima di tornare a parlare correttamente. I mal di testa era dolorosissimi. E quando veniva qualcuno a casa io mi rinchiudevo nella mia camera. Non affrontai la porta di casa per uscire per molto tempo. Ci volle tutta la volontà di mia moglie per farmi uscire con amici una sera. La cosa più intimidatoria che abbia mai fatto nella mia vita. Avevo paura.
“Ma grazie a quell’uscita ho scoperto la magia. Sì quella dei maghi. Ero attratto dai giochi di prestigio del mago di quella sera presente nel locale dove eravamo. Gli parlai e pensammo assieme che il ragionare su come far riuscire un gioco di magia potesse aiutare il mio cervello a tornare a lavorare in modo appropriato. Cominciai a lavorare con lui a trucchetti di magia e il cervello rispondeva sempre meglio di volta in volta. Ora ho trucchi per due ore di show. Uso questa mia nuova capacità per aiutare giovani ragazzi con problemi sociali di personalità e mentali. I giovani non sanno chi sono io, non sanno la mia storia. Sono solo una persona che usa quello che ha imparato per uscire dai problemi per cercare di aiutarli. E il voler conoscere come funziona un trucco di magia aiuta loro a relazionarsi con me e a voler parlare. Come successe a me dopo quello settimane di buio”.
La faccia opposta della medaglia di quella settimana di Le Mans è veramente incredibile. Mai, quel giorno, mi sarei aspettato che Nigel nei mesi seguenti avesse navigato in acque così profonde e tumultuose della psiche umana. Non ne parlò con nessuno. Ci sono voluti diversi anni, e un libro. A me sembra invece di essere ancora là adesso mentre queste righe. In tribuna, nell’orgia di colori, rumori e profumi che solo Le Mans sa regalare. Bella e dannata.
Riccardo Turcato