Per gli appassionati di F1 e di motorsport è veramente un bel momento. Nelle librerie infatti stanno uscendo moltissimi libri tecnici, biografici e autobiografici di progettisti di cui tutti abbiamo ammirato le monoposto in pista. Vorrei soffermarmi su due figure tra le più importati della storia della F1 che da poco si sono raccontate nero su bianco. Entrambi non hanno bisogno di presentazioni: uno è Adrian Newey (“How to build a car“), l’altro John Barnard (“The perfect car“). Due progettisti che hanno segnato lo sviluppo tecnico/aerodinamico delle monoposto del Circus iridato e della Indycar andando a elevare gli standard di costruzione costringendo gli altri a rincorrere e adeguarsi.
Nel leggere queste righe a me piace sempre capire da dove nasce la passione, la voglia di curare e limare i dettagli. Qual è il background di vita che porta questi maestri della tecnica a issarsi nelle pagine di storia dei motori. Entrambi grandi appassionati di tecnica sin da bambini, ovvio. Entrambi con la passione in comune del modellismo. Grandi studiosi. Grandi osservatori del mondo che li circonda. Pensate che uno degli airscoop della Williams di metà anni 90 deriva da un’idea che ha avuto lo stesso Newey mentre era in volo e osservava il motore dell’aereo.
Ho scoperto che Newey e Barnard hanno due approcci molto diversi per arrivare al risultato finale. Arrivare alla monoposto perfetta, che poi tra l’altro è anche il titolo della biografia di Barnard “The perfect car” che per ora potete trovare solo in inglese. Sono 600 pagine ma consigliatissime. Da una parte c’è Adrian Newey con la sua regola delle 24 ore. Praticamente Newey spiega che, quando gli viene un’idea, la disegna. La lascia li sul tavolo per 24 ore e, dopo un giorno, quando la riprende in mano, se sembra essere ancora valida decide di proseguire con lo sviluppo del concetto impostato.
Lui chiama questo metodo “disciplina ingegneristica”. Perché anche nel mondo della F1 dei top team con molti soldi, non si può perdere tempo a seguire un’idea solo perché sembra buona. Bisogna essere allo stesso tempo critici e onesti col proprio lavoro rinunciando a quello che potrebbe far perdere solo tempo e soldi al team. Quante volte abbiamo visto Newey durante i weekend agonistici schizzare idee e dettagli ai box o addirittura sulla linea di partenza prima del via. Era solito tenere un blocchetto degli appunti sul comodino nel caso in cui di notte gli fosse venuto in mente qualcosa. Poi ha scoperto che erano più le ore che passava sveglio a disegnare che quelle che dormiva. Quindi ha portato il blocchetto degli appunti in bagno. “Così sono costretto ad alzarmi dal letto, e per farlo, devo essere sicuro che quello che ho pensato meriti di uscire dalle coperte”.
Dall’altra parte c’è Barnard con il suo mantra “Se sembra corretto, probabilmente lo sarà”. Lui ha rivoluzionato e non poco la F1. Spesso ce ne dimentichiamo ma ha portato il Circus nell’era “spaziale”: carbonio, cambi al volante, forme innovative al posteriore, tecniche costruttive con materiali esotici. Barnard arriva al prodotto finale partendo dal concetto che, se l’idea istintiva risulta sembrare corretta e anche bella, sarà un elemento positivo della vettura che ne migliorerà l’efficienza. Niente ripensamenti quindi. Si disegna il concetto, si produce il pezzo e lo si va a ridefinire al CAD e in galleria del vento, questi ultimi due strumenti di cui fu vero precursore rispetto a tutti gli altri suoi colleghi dell’epoca. Spesso ha anche pagato questo suo modo di pensare con vetture bellissime ma che poi hanno avuto problemi in pista.
John Barbard ora si è ritirato dalle scene del motorsport, disegna sedie e tavoli in carbonio, il materiale che lo ha reso famoso. Adrian Newey invece continua a essere una pedina fondamentale della Red Bull e nel 2019 dovrà affrontare una delle più grandi sfide degli ultimi anni: far andare veloce la monoposto di Verstappen integrando il motore Honda. Due mantra diversi. Stesso risultato. La macchina perfetta.
Riccardo Turcato