Tra tutte le curve famose a Suzuka – come la Spoon e la 130R – la gente dà meno attenzione alle due Degner Curves, che consistono di un veloce curvone a destra, immediatamente seguito da una stretta curva a destra di 90 gradi: il secondo punto più lento del circuito dopo il tornante. Ma l’uomo da cui prendono il nome – il motociclista Ernst Degner – ha una delle storie più affascinanti nella storia del motorsport da raccontare.
Degner era un tedesco: più esattamente, della Germania dell’Est, ai tempi in cui la Germania era divisa. Ma durante quei giorni bui del comunismo era una luca brillante per i suoi connazionali – dato che era un celebre corridore della MZ, con le macchine due tempi della Germania dell’Est (create da Walter Kaaden, che in precedenza aveva lavorato alla base delle armi segrete di Adolf Hitler a Peenemunde) che avevano sufficiente tecnologia per battere nomi consolidate in Europa, oltre a quelli giapponesi emergenti.
Nel 1960, la Suzuki aveva iscritto la prima moto da corsa ma era drammaticamente lenta, chiudendo il TT dell’Isola di Man 125 del 1960 a ben 15 minuti dal vincitore. Era chiaro che i giapponesi avessero bisogno urgentemente di know-how, ma dove trovarlo? La risposta arrivò sotto forma di un incontro casuale l’anno seguente tra Degner e Suzuki, cui prese parte il presidente Shunzo Suzuki. Durante la conversazione, Degner disse che era stanco della sua vita opaca nella Germania dell’Est, visto che il resto del mondo stava iniziando a emergere dall’austerità post-bellica. Gli pesava la presenza degli agenti della Stasi, la polizia segreta, che lo seguivamo a ogni gara (erano così preoccupati che potesse fuggire che alla famiglia di Degner non era permesso andare alle gare – così avrebbe sempre avuto un motivo per tornare a casa); e ovviamente odiava il fatto che molti dei suoi colleghi piloti – con meno talento – fossero pagati una fortuna rispetto a lui, mentre lui doveva accontentarsi di uno stipendio comunista pari praticamente a quello di qualunque altro lavoratore della MZ. Quindi l’accordo fu fatto. Degner sarebbe scappato, avrebbe aiutato la Suzuki a sviluppare le moto e poi ci avrebbe corso. Ma non sarebbe andato senza la sua famiglia, e con il Muro di Berlino ancora in piedi, portari fuori sarebbe stato quasi impossibile.
Durante il weekend del Gran Premio di Svezia del 1961 a Kristianstad, Degner organizzò con un suo amico della Germania Ovest – che faceva frequenti viaggi d’affari a Berlino Est – di far fuggire dal Paese sua moglie e i suoi figli in un vano segreto nel bagagliaio di una Lincoln Mercury. Il pensiero di Degner fu che la Stasi dedicava più tempo a guardare lui che non la sua famiglia a casa quando era all’estero. Il piano funzionò. Subito dopo il Gran Premio di Svezia, Degner fu portato di nascosto in auto in Danimarcada un membro del team Suzuki, dove si riunì alla sua famiglia prima di trasferirsi poi ad Hamamatsu in Giappone: il quartier generale Suzuki. Per quanto riguarda la MZ, cancellò immediatamente il suo programma di gare all’estero, per essere certa che nessun altro avesse la stessa brillante idea.
Degner partecipò alla stagione 1962 con una Suzuki, ma temeva costantemente di essere ucciso dalla Stasi. Alla fine di quella stagione conquistò però in modo spettacolare il primo Titolo per la Suzuki. Poi l’anno successive, la sua favola iniziò a trasformarsi in un incubo.
Nel Gran Premio del Giappone del 1963 cadde dalla moto nel posto ora noto come Degner Curves e, quando il serbatoio del carburante esplose, ebbe delle ustioni che richiesero oltre 50 trapianti della pelle.
Due anni dopo si fratturò la gamba destra durante il Gran Premio d’Italia a Monza, poi nel 1966 ebbe un altro incidente in Giappone e riportò dei traumi alla testa, che misero effettivamente fine alla sua carriera. Dopo aver trascorso così tanto tempo a soffrire, si appoggiò pesantemente alla morfina: molti dissero che questo era stato il fattore che portò alla sua morte improvvisa a soli 53 anni, nel 1981, sull’isola di Tenerife. Secondo altre teorie – più fantasiose – la Stasi l’avrebbe finalmente raggiunto. Ma a Suzuka, la sua memoria vive ed è considerate uno dei padre fondatori del successo nipponico nelle corse motociclistiche. Un’arena in cui Pirelli è attivamente impegnata, accanto alle gare automobilistiche: tre dei cinque Costruttori top nel Campionato del Mondo di Superbike dello scorso anno – equipaggiato esclusivamente da Pirelli – erano giapponesi. E avrebbero anche potuto non esistere se non fosse stato per Ernst Degner. Quindi, rivolgetegli un pensiero mentre guardate il Gran Premio del Giappone questo weekend: a uno dei più incredibili avventurieri che abbiano mai messo piede a Suzuka.