e quadricipiti. L’occhio dello spettatore non riesce a catturare alcun muscolo in tensione; il casco del pilota nasconde ogni segno di fatica. Insomma, si potrebbe quasi pensare che un pilota di F1 non abbia bisogno di un particolare allenamento fisico. Non più di quanto forse non ne abbia bisogno un giocatore di Playstation.
E in fondo è quello che pensavano gli stessi piloti, almeno fino alla fine degli anni 80. Farina, Fangio, Ascari: molto probabilmente ai campioni della prima era della Formula 1 bastava andare a fare una corsetta, una partitella con gli amici per tenersi in forma. A contare, più di una condizione fisica eccellente, erano le abilità al volante, la concentrazione e tanta, tanta, fortuna. Dalla fine degli anni 80 le cose hanno iniziato a cambiare, come spiega il dottor Riccardo Ceccarelli, direttore di Formula Medicine, l’équipe di medici, psicologi, preparatori atletici, fisioterapisti, che da oltre 20 anni segue i piloti non solo della F1.
A quei tempi le monoposto non avevano l’idroguida, lo sterzo era diretto e quindi pesantissimo. In più, le gomme avevano una superficie più larga, girare il volante costava molta più fatica. Per non parlare delle forze che si scaricavano sul collo del pilota (in curva, si potevano raggiungere picchi di 30-35kg). Non dimentichiamo, infatti, che non esisteva ancora il poggiatesta e il casco sporgeva fuori dall’abitacolo. Per far fronte a queste forze, i piloti iniziarono ad andare in palestra per allenare soprattutto spalle e braccia. Insomma, la corsetta amatoriale non bastava più. E, ben presto, ci si rese conto che neppure la sola palestra poteva bastare. Gli studi, effettuati dal dottor Ceccarelli monitorando top driver in azione, iniziarono infatti a segnalare un dato sorprendente: la frequenza cardiaca media di alcuni piloti superava i 170 battiti al minuto.
Insomma, persone che trascorrevano almeno due ore sedute facevano registrare una frequenza cardiaca superiore a quella di un ciclista professionista sotto sforzo. Si capì che non erano, dunque, i bicipiti o i muscoli del collo quelli maggiormente stressati durante una gara di F1. Il muscolo maggiormente sollecitato era il cuore. Da lì la necessità di allenare in modo mirato quello che il dottor Ceccarelli definisce la “pompa di benzina” del corpo umano: il cuore, il cui compito, appunto, è quello di pompare sangue nell’organismo. Più grande sarà questa pompa, più sangue confluirà nel corpo dell’atleta. Accanto agli allenamenti in palestra, si sono quindi affiancate lunghe sessioni in bicicletta.
Non è stato semplice all’inizio, spiega il dottor Ceccarelli, convincere uomini il cui sport consisteva nello stare seduti della necessità di allenarsi con la bicicletta. Eppure oggi molti piloti sono anche campioni di triathlon; c’è chi ha acquistato addirittura una squadra di ciclismo. Insomma, oggi i piloti di Formula Uno hanno davvero un cuore grande. Parola di medico.