Marzo, tempo di bilanci (delle aziende). C’è chi è molto contento, chi contento e ancora chi contento non lo è per nulla! Ma qui non stiamo giudicando se Volkswagen ha guadagnato il 5 o il 6% in più, se PSA riesce ancora a stare a galla con Citroen e Peugeot che perdono a bocca di barile. Non stiamo valutando se la politica elettrica di Ghosn è stata vincente oppure è stata un disastro con relativo bagno di sangue. L’importante non è sapere se Marchionne e la Fiat (o, per meglio dire, la FCA) hanno avuto ragione oppure no. Qui vogliamo fare un piccolo ragionamento su dove ci porterà questa politica di crescita (molto presunta in questa fase) forsennata e magari con la fine alle viste.
Detto che il mondo è un sistema chiuso, un po’ come il circuito di raffreddamento delle macchine, crescere a dismisura pare proprio non possibile (le risorse sono finite, anche quelle finanziarie). Ebbene che cosa centra tutto questo con le auto? Nulla, oppure tutto. Oggi tutti suonano l’assalto alla Cina. Un biliardo e 600 milioni di persone fanno gola a tutti. Ma se i cinesi compreranno tante auto quanto ne hanno gli americani, avremo più di un paio di miliardi di auto posteggiate tra la Mongolia e il Vietnam. Un incubo? Beh, a questo punto si potrebbe dire di sì. E allora che cosa si deve fare? Beh, forse incominciare a predare che espandersi a prescindere non è la migliore politica. Decrescita felice? No, anche no. Anche perché impoverirsi non è bello nemmeno se è fatto con grande controllo e magari a fin di bene.
Queste proposte paiono trovare il tempo a loro dato (ovvero nulla o quasi). Grillo e accoliti che blaterano (con scarsi risultati anche perché forse il problema è capito soltanto come parola d’ordine, quindi in modo superficiale) di questo problema lo fanno in maniera strumentale e poco compresa. Il controllo della crescita implica, se vogliamo vedere le cose come stanno, un autorità politica che si impone e fa rispettare le leggi anche alle entità economiche. La vituperata politica, quella rappresentata dalla casta, sembrerebbe essere una delle possibilità di salvezza. Chiudere le dinamiche economiche fuori dal recinto e risolvere i problemi anche con soluzioni politiche (che magari fanno a botte con la finanza e l’economia) potrebbe essere la via d’uscita on relativa salvezza. Continuare a presumente che l’economia finanziaria faccia agio sugli uomini è un assurdo totale. Continuare a vendere auto ai cinesi, alla lunga proprio no. Beh, magari sul breve periodo può apparire una idea meravigliosa e risolutrice, sul medio lungo termine appare proprio un suicidio. E non stiamo parlando da ricchi e grassi occidentali. Stiamo parlando perché a questo punto in pericolo c’è il genere umano.
Le risposte, in questo caso, sono tutte politiche e le linee di azione (non di sviluppo, perché quello ormai è completamente grippato) devono essere dettate dai politici che cercano una sintesi altra rispetto alle risposte che finanza ed economia ci hanno dato in tutti questi anni. L’autoregolamentazione del mercato e tutte le simpatiche amenità nate l’indomani della caduta del Muro devono essere considerate teorie errate e inutili. Si deve ripartire da un altro punto, magari economicamente sbagliato, ma umanamente giusto.
Il mondo (non l’Europa, non l’Italia) è mostruosamente squilibrato, gli effetti perversi della mondializzazione sono tutti davanti ai nostri occhi e sono terribili. Si pensa, e non lo riteniamo solo noi che scriviamo su questo sito, che i pericoli di un sovvertimento generale siano molto, ma molto seri. E non si tratta più di terrorismo di qualche pecoraio afghano (e non vogliamo offendere né i pecorai, né gli afghani), ma di un malessere sempre più diffuso, trasversale, transnazioanle. Insomma stiamo ballando sull’orlo del baratro e lo stiamo facendo con una tartina in mano!
Peppino Fumagalli