Il circuito di Yas Marina ha un posto particolare nella storia recente della Ferrari. Da una parte c’è l’orgoglio di correre accanto al primo parco tematico su un’area di 200 mq interamente dedicato alla Casa di Maranello che, aperto nel 2010, rende omaggio alla passione, all’eccellenza, allo stile, allo spirito sportivo e all’innovazione tecnologica, tutti elementi del DNA Ferrari. Sotto un tetto sormontato dal più grande scudetto mai realizzato, oltre 20 attrazioni – fra cui le montagne russe più veloci del mondo – per un’esperienza multisensoriale completa nel mondo del Cavallino.
Sull’altro versante c’è una tradizione sportiva che non ha certo mai sorriso alla Scuderia. Sono solo due sugli otto in palio i piazzamenti sul podio conquistati nelle quattro edizioni fin qui disputate, i secondi posti di Fernando Alonso nel 2011 e nel 2012. Entrambi agrodolci. Quello del 2011 perché era un risultato che sarebbe servito 12 mesi prima per portare Fernando al Titolo iridato mentre allora servì a poco, visto che quell’anno Vettel si era già laureato campione a Suzuka. Quello del 2012 per due motivi: la vittoria sfuggì al pilota di Oviedo per pochi chilometri – sarebbe bastato un altro giro per arrivare probabilmente in scia a Raikkonen, entrare in zona DRS e garantirsi così una concreta chance di sorpasso – e poi i punti guadagnati su un Vettel costretto a partire dal fondo della griglia a causa di una penalità subita in qualifica furono solamente 3, gli stessi che poi separarono i due rivali sotto la bandiera a scacchi nell’ultimo round di San Paolo.
La delusione maggiore, quella che brucia ancora, è sicuramente quella del 2010. Quell’anno Fernando arrivò ad Abu Dhabi in testa al Campionato e, dopo il 3° posto in qualifica davanti al rivale più vicino, Webber, sulla carta era il favorito. La gara invece si svolse secondo un copione incredibile. Sulla griglia di partenza, Fernando era 3°, come detto, e Felipe 6°. Al via lo spagnolo veniva superato da Button ma manteneva il vantaggio sull’avversario più vicino nella lotta per il titolo, Webber, mentre Felipe conservava la sua posizione. Proprio nella prima tornata avveniva un episodio che sarebbe risultato determinante nello sviluppo della gara: Schumacher perdeva il controllo della sua Mercedes all’uscita della curva 6 e si girava, centrato in pieno da Liuzzi, rendendo necessaria l’entrata in pista della safety-car che neutralizzava la corsa fino al giro 5, cosa di cui approfittarono alcuni piloti per passare dalle gomme morbide alle dure. Alla ripartenza la gara cominciava a delinearsi con Vettel davanti a tutti, seguito da Hamilton, Button, Alonso, Webber e Massa. L’australiano, che cominciava a essere in difficoltà con le soft, anticipava la sosta ai box al giro 11 e rientrava dietro ad Alguersuari, che si era già fermato. La “resistenza” del pilota della Toro Rosso durava poco più di un giro prima di lasciare strada alla RBR. Nel frattempo, il muretto Ferrari decideva di far rientrare Felipe (giro 13) per cercare di sopravanzare Webber ma la mossa non riusciva e il brasiliano si ritrovava dietro ad Alguersuari. Ancora due giri ed era Alonso a fermarsi quando era 4° con un ritardo di 6”5 su Vettel: se lo spagnolo rientrava in pista davanti a Webber, coprendo così l’australiano, si ritrovava dietro due vetture che si erano già fermate al momento della neutralizzazione, la Renault di Petrov e la Mercedes di Rosberg. La corsa di Fernando verso il Titolo era quindi tutta in salita: ci sarebbe voluto un miracolo o un errore dell’avversario per superare Petrov, nonostante la differenza di prestazione fra le due vetture. Da quel momento in poi succedeva poco nella corsa dei due ferraristi, che risalivano qualche posizione in classifica solo grazie ai pitstop di chi li precedeva. Il trio di testa, agevolato da un degrado degli pneumatici molto più blando del previsto, si separava al giro 23 quando si fermava Hamilton, seguito da Vettel nella tornata successiva. Rimaneva così al comando Button, che restava in pista fino al giro 39. In mezzo al trio resisteva fino al giro 46 Robert Kubica, che poi retrocedeva al 5° posto dopo il pitstop. Dopo la sosta di Sutil (giro 47) Fernando si ritrovava in 7° posizione ma non riusciva ad andare oltre: a quel punto erano diventate tre le vetture da superare per agguantare quel 4° posto che gli avrebbe permesso di conservare il vantaggio su Vettel, leader della gara. Fernando le provava tutte fino all’ultimo, ma non c’era verso di superare il russo, ostinato e preciso nella guida come non lo era mai stato durante la stagione. La corsa si concludeva con il tedesco della RBR vincitore davanti ad Hamilton, Button, Rosberg, Kubica, Petrov, Fernando, Webber, Alguersuari e Felipe e Campione Piloti, con 4 lunghezze sul ferrarista: finale amarissimo per una stagione comunque splendida, specie nella seconda parte.
Inutile tornare sui perché di una scelta strategica che nell’immediato fu quella giusta – in quel momento era Webber il principale avversario da marcare – ma non a posteriori perché non si era tenuto sufficiente conto (e non c’erano a disposizione strumenti per prevedere variabili come queste con maggiore accuratezza, un’area su cui la Ferrari da allora ha fatto molti progressi) dell’effettivo degrado degli pneumatici e del reale potenziale della vettura nei sorpassi. Così com’è inutile pensare a cosa sarebbe stata la storia dell’ultimo quadriennio se quel giorno le cose fossero andate in modo diverso.
Detto del 2010 ci sarebbe da parlare del 2009, l’edizione inaugurale del GP di Abu Dhabi: il 12° posto di Kimi Raikkonen, al passo d’addio del suo primo capitolo in rosso, e il 16° di Giancarlo Fisichella giustificano le poche parole da dedicare a quel fine settimana. Ma il passato è passato e adesso bisogna pensare al presente, a una gara determinante in ottica Costruttori: la parola d’ordine per gli uomini in Rosso è portare a casa la piazza d’onore, riprendersela subito dopo averla ceduto domenica in India alla Mercedes: 4 punti recuperabilissimi, se tutti remano nella stessa direzione e per un obiettivo comune e fondamentale, per l’orgoglio e anche per motivi economici.
Barbara Premoli