La mobilità sostenibile non è solo moda. Lo è stata (e molto), ma oggi lo è un po’ meno, molto meno. Però resta un’esigenza, un’emergenza si potrebbe dire se il termine non fosse così abusato. L’unico problema è che la soluzione (unica) non esiste, la panacea di tutti i mali, al momento, non è presente. Si deve avere un po’ di creatività, molta laicità nell’affrontare il problema e nessun preconcetto ideologico. Dunque, si parla, prima di tutto, di auto elettriche, full electric per quelli che amano (a volte un po’ a caso) l’inglese. Le macchine a batteria non sembrano in grado di essere delle vere alternative, così come sono oggi, alle auto convenzionali con motore a scoppio. Autonomia troppo limitata e in più fortemente influenzata dalle condizioni ambientali (freddo, caldo, umido ecc), tempi di ricarica comunque esagerati e non competitivi, come ormai è arcinoto, penalizzano questa soluzione. Quindi le macchine elettriche non sono una risposta? No, non sono la risposta, ma possono essere una delle possibilità.
Commuter cittadini per spostamenti in aree delimitate è sicuramente la migliore destinazione di auto ad accumulatori: la Renault Twizy, ma anche il Birò sono gli esempi migliori. In questo senso si può pensare di usare anche batterie meno complesse (e costose) di quelle al litio (nelle varie declinazioni) e di ottenere mezzi che funzionano egregiamente. Le fuel cell, buone, ma ancora costose e ingombranti. E alimentarle a idrogeno è una buona idea, ma il processo di creazione del gas va valutato con attenzione, il rischio è di avere un carburante costoso, magari inquinante nel ciclo produttivo e anche in questo caso non competitivo. Ci sono poi le soluzioni intermedie, quelle che attualmente danno risposte più vicine ai veicoli convenzionali, ma che risolvono il problema dell’inquinamento in modo relativo. Una qualsiasi Prius inquina (probabilmente, perché le misurazioni secondo il ciclo ufficiale sono assurdamente ottimistiche e non proprio aderenti alla realtà) relativamente meno delle cugine con propulsore standard. Ma quando si esce dalla città il quattro cilindri della giapponese frulla come gli altri. E le plug in, le range extended? Costosissime. Quarantamila e più euro per quelle macchine sono un listino pesante e di certo non si può pensare (soprattutto in una contingenza economica come quella che stiamo attraversando) che possano diventare mezzi destinati al mass market.
E qui si innesta un altro pensiero. Qualche anno fa si sperava che le “ecologiche”, seppur costose, potessero entro breve diventare sempre più diffuse grazie agli incentivi statali. Ma sorge spontanea una domanda: perché la comunità si deve far carico delle esigenze del privato? Se il problema è l’inquinamento (e questo è il problema!) allora il singolo si adatti a muoversi con mezzi pubblici . Se si ha voglia di usare una macchina, allora va pagata per quello che vale. Tutto il resto fa spettacolo. E allora, perché il palcoscenico non sia l’unico luogo dove vivere e gli esperti di marketing non diventino i protagonisti della nostra vita, allora vale la pena di stravolgere il pensiero e di valutare quale è il punto, il centro del ragionamento. L’unico dato da cui non si può prescindere è la possibilità degli spostamenti individuali. Su come ciò avviene o avverrà possiamo aprire una discussione e dilettarci a disegnare scenari futuri più o meno esaltanti. Certamente, e qui arriva la risposta al quesito iniziale, è facile pensare che vivremo un mondo dove non useremo un solo mezzo, ma il veicolo da utilizzare sarà quello più adatto alla situazione contingente. E le auto, la passione, la bellezza di possedere una quattro ruote? Beh, probabilmente sarà solo una questione di passione…
Peppino Fumagalli